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UFFICIO DEL PERSONALE

giovedì 28 aprile 2011

DIRIGENTI: RIPOSI E LAVORO STRAORDINARIO

Recentemente la Cassazione (Sent. n. 3607 del 14 febbraio 2011) ha affermato che l'esclusione dai riposi settimanali e festivi e dal compenso per lavoro straordinario del personale avente qualifica dirigenziale non ha valore assoluto, essendo soggetta a limiti di ragionevolezza, da verificarsi da parte del giudice, sempreché ovviamente il superamento dei relativi limiti sia dedotto e provato dal dirigente interessato.


Com'è noto, la determinazione della durata massima della giornata lavorativa è demandata dalla Costituzione (art. 36, comma 2) alla legge ordinaria; l'art. 2107 c.c. stabilisce che i limiti di durata giornaliera e settimanale della prestazione lavorativa vengano determinati dalle leggi speciali e dai contratti collettivi.

La disciplina dell'orario di lavoro è stata definita dal D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, di recepimento della direttiva comunitaria n. 93/104/CE in materia di organizzazione dell'orario di lavoro.

Così come espressamente previsto dall'art. 17, comma 5, del D.Lgs. n. 66/2003, fermo ovviamente il rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, le disposizioni in materia di orario normale settimanale, di durata massima, di lavoro straordinario, di riposo giornaliero, di pause e di organizzazione e durata del lavoro notturno, non si applicano ai lavoratori la cui durata dell'orario di lavoro, per le caratteristiche dell'attività esercitata non è misurata o predeterminata o può essere predeterminata dai lavoratori stessi e in particolare quando si tratta di dirigenti, di personale direttivo delle aziende o di altre persone aventi potere di decisione autonomo.

Ai fini dell'esclusione dal campo di applicazione della disciplina limitativa dell'orario di lavoro devono ritenersi compresi nella locuzione personale direttivo non solamente i dirigenti in senso stretto, ma anche il cosiddetto personale dirigente minore.

LA RECENTE POSIZIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Una interessante posizione è stata recentemente presa dalla Sezione lavoro della Corte di Cassazione che, con la Sent. n. 3607 del 14 febbraio 2011, ha affermato che l'esclusione dai riposi settimanali e festivi e dal compenso per lavoro straordinario del personale avente qualifica dirigenziale non ha valore assoluto, essendo soggetta a limiti di ragionevolezza, da verificarsi da parte del giudice, sempreché ovviamente il superamento dei relativi limiti sia dedotto e provato dal dirigente interessato.

La fattispecie originaria

A seguito di ricorso connesso a pretese economiche riferite, tra l'altro, anche a prestazioni di lavoro straordinario e indennità sostituiva di riposi compensativi non goduti, l'adito giudice di prime cure pronunciò sentenza non definitiva di rigetto di tutte le domande a tal fine proposte da un dirigente oramai in quiescenza.

In sede di gravame, la Corte d'appello, con riguardo alla doglianza inerente alla reiezione da parte del primo giudice della domanda di corresponsione delle differenze retributive per remunerazione di lavoro straordinario, fece rilevare che l'interessato, in quanto dirigente, non aveva diritto a compenso per le eventuali prestazioni di lavoro straordinario, bensì ad una indennità determinata forfetariamente.

Per ciò che concerneva invece il mancato riconoscimento dell'indennità sostitutiva dei riposi compensativi non goduti, doveva evidenziarsi che, nella specie, veniva in considerazione non l'espletamento di mansioni ordinarie o straordinarie di ufficio imposte dalla società appellata, bensì l'attività di accertamento, decisa, organizzata e gestita nella più ampia libertà e autonomia dal dirigente, il quale, peraltro, ben poteva delegarla al personale accertatore.

Da qui, pertanto, il conseguente ricorso per cassazione.

La posizione di legittimità

Nel ricorso per cassazione il dirigente denunciava la violazione dell'art. 2108 c.c., nonché vizio di motivazione, osservando che, ai fini del riconoscimento del lavoro straordinario, deve ritenersi sufficiente qualsiasi comportamento datoriale che riveli un'accettazione, anche tacita, della prestazione.

Inoltre, nonostante la funzione dirigenziale rivestita, veniva in ogni caso in evidenza il diritto alla remunerazione prestata in regime di lavoro straordinario, trattandosi di prestazioni che, per la loro sistematicità e collocazione oraria, superava anche quelle eccedenti l'orario normale di lavoro esigibile da un dirigente in ragione del carattere di subordinazione attenuata che caratterizza tale tipo di rapporto.

Sul punto il collegio di legittimità,

- nel mettere in evidenza come la Corte d'appello avesse motivato le sue conclusioni sul punto con una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a sostenere il decisum,

- ha ritenuto le ragioni del ricorrente non idonee a superare il rilievo della sentenza d'appello, secondo cui la regolamentazione dell'attività, come effettuata nei due coevi accordi tra le parti, prevedeva la sua riconduzione alle attività esterne svolte dai titolari di filiale nell'ambito delle loro mansioni nella massima libertà, con attribuzione altresì, a titolo di retribuzione, di un'indennità mensile forfetaria, ovvero della diaria, se svolta in altri comuni, sostanzialmente sulla base del risultato conseguito e non sulla durata della prestazione, come avviene invece per il lavoro straordinario.

Più nel dettaglio, le considerazioni del ricorrente secondo cui al fine del riconoscimento dello straordinario è sufficiente la presenza di un comportamento datoriale rivelante un'accettazione, anche tacita, della prestazione (cfr. al riguardo, Cass. n. 1015/1985; n. 8129/1992), non sono state idonee per superare il rilievo offerto sul punto della Corte territoriale.

Quanto poi al rilievo che il ricorrente, in quanto dirigente, non aveva neppure diritto a compenso per le eventuali prestazioni di lavoro straordinario, l'affermazione del medesimo secondo cui tali prestazioni, per la loro sistematicità e collocazione oraria, superavano anche quelle eccedenti l'orario normale di lavoro esigibile da un dirigente è stata ritenuta non accompagnata, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, dalla specifica indicazione e riproduzione delle risultanze processuali che dovrebbero sostenere tale assunto.

Da qui, pertanto, l'applicazione del principio, reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. ex plurimis, Cass. n. 12976/2001; n. 18240/2004; n. 13956/2005; n. 20454/2005), secondo cui, qualora la pronuncia impugnata sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rigetto delle doglianze relative ad una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, l'esame relativo alle altre, pure se tutte tempestivamente sollevate, in quanto il ricorrente non ha più ragione di avanzare censure che investono una ulteriore ratio decidendi, giacché, ancorché esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso l'annullamento della decisione anzidetta.

Di conseguenza, lo specifico motivo di ricorso non può che essere rigettato.

Nel ricorso era stata parimenti denunciata la violazione di norme di diritto (art. 2109 c.c., comma 1; art. 36 Cost., comma 3), nonché vizio di motivazione, sul presupposto che la sottostante Corte d'appello avesse disatteso la domanda di attribuzione dell'indennità sostitutiva dei riposi compensativi non goduti.

A ben vedere, le argomentazioni della Corte territoriale, ad avviso della sentenza in esame, non appaiono pienamente esaustive, rientrando le attività di accertamento espletate nelle giornate di domenica nello svolgimento di compiti che la parte datoriale riconosceva come utili, tanto da specificamente remunerarle.

Nonostante ciò, le conclusioni a cui la sentenza d'appello è pervenuta sono tuttavia esatte in diritto, posto che, a mente dell'art. 1, comma 2, n. 4, della legge n. 370/1934, le disposizioni inerenti al riposo settimanale di 24 ore consecutive non si applicano, per quanto qui specificamente rileva, al personale preposto alla direzione tecnica od amministrativa di una azienda ed avente diretta responsabilità nell'andamento dei servizi.

La giurisprudenza di legittimità ha però avuto modo di precisare al riguardo che l'esclusione del diritto del personale direttivo al riposo settimanale e festivo, nonché al compenso speciale per lavoro oltre l'orario normale, non ha carattere assoluto, essendo soggetta, alla stregua dei principi dettati dalla Corte Costituzionale con la Sent. n. 101/1975, a limiti di ragionevolezza (con riferimento all'interesse del dipendente alla tutela della propria salute ed integrità fisico-psichica e alle obiettive esigenze e caratteristiche dell'attività svolta), verificabili dal giudice, sempreché il superamento di essi sia stato dedotto e provato dal dirigente (cfr. Cass. n. 5618/1984).

Orbene, sotto tale ultimo profilo, il ricorrente non ha però in alcun modo indicato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione in base a quali risultanze processuali avrebbe dovuto ritenersi che tali limiti di ragionevolezza sarebbero stati nella specie superati, avendo per contro la Corte territoriale evidenziato, con accertamento fattuale intangibile in sede di legittimità, che l'attività in discorso riguardava poche ore, soprattutto la sera, in occasione degli spettacoli.

Da qui, pertanto, fatta salva una parziale correzione della motivazione di merito nei termini appena indicati, anche la censura in esame è stata disattesa dalla Corte di Cassazione.

CONCLUSIONI

Al di là di quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza appena annotata, la regola generale normalmente seguita è quella che prevede che ai dirigenti non spetta la maggiorazione per lavoro straordinario; regola questa che presenta però un'eccezione, qualora il lavoro si svolga in un periodo molto lungo.

Come detto, ai dirigenti (ma, più in generale, al personale cd. direttivo) non si applicano le norme relative ai limiti di orario di lavoro: essi, infatti, possono avvicendare in modo autonomo lavoro e riposo, a condizione che venga rispettato l'obbligo di lavoro quotidiano.

Di conseguenza se il dirigente presta la propria attività lavorativa oltre il normale orario di lavoro, non ha diritto al compenso per lavoro straordinario.

Di questo avviso è stata quasi sempre la Corte di Cassazione che ha ritenuto giustificato il diverso trattamento tra i dirigenti e le altre categorie di lavoratori dipendenti in ragione del fatto che i primi sono dotati di poteri di iniziativa ed autonomia nell'esercizio di un'attività di lavoro qualitativamente superiori, che ammette e spesso richiede interruzioni e discontinuità, e per la quale non possono stabilirsi vincoli normali e costanti di orario, perché la sua durata è essenzialmente legata alla speciale natura delle funzioni e alle connesse responsabilità, e quindi necessariamente variabile.

Da ciò consegue che anche la retribuzione del personale investito di funzioni direttive non è stabilita in rapporto alla quantità del lavoro prestato, bensì essenzialmente con riguardo alla qualità di tale lavoro, che, per la sua natura, non sembra suscettibile di stima e remunerazione commisurata ad ore, così come avviene per il lavoro ordinario e straordinario di altre categorie di lavoratori.

Pur tuttavia, la medesima giurisprudenza di legittimità ha nel tempo ritenuto che un limite quantitativo globale, ancorché non stabilito dalla legge o dal contratto in un numero massimo di ore di lavoro, sussiste pur sempre, anche per il personale direttivo, anzitutto in rapporto alla necessaria tutela della salute ed integrità fisio-psichica, garantita dalla Costituzione a tutti i lavoratori, e, sempre nel rispetto di questo principio, in rapporto alle obiettive esigenze e caratteristiche dell'attività richiesta alle diverse categorie di dirigenti o funzionari con mansioni direttive: talché al giudice è sicuramente consentito di esercitare, nelle singole fattispecie, un controllo sulla ragionevolezza della durata delle prestazioni di lavoro pretese dall'imprenditore, con riguardo alla natura delle funzioni espletate ed alle effettive condizioni ed esigenze del servizio, secondo i diversi tipi di imprese.

Due ad avviso della Suprema Corte sono i criteri da utilizzarsi per stabilire se il dirigente abbia prestato del lavoro straordinario con il conseguente diritto alla maggiorazione.

Il primo di tale criterio è il limite della ragionevolezza; il secondo, quello della prassi aziendale.

Il criterio della ragionevolezza appare sin troppo soggettivo, risultando tra l'altro di non facile applicazione.

In assenza di un tale parametro, si fa riferimento al criterio della prassi aziendale, con la conseguenza che si considera lavoro ordinario del dirigente quello prestato mediamente dagli altri dirigenti della stessa impresa.



(Art. 36 Cost., commi 2 e 3)
(Art. 2107 c.c.)
(Art. 2109, comma 1, c.c.)
(Legge n. 370/1934)
(D.Lgs. n. 66/2003)
(C. Cost. sent. n. 101/1975)
(C. Cost. sent. n. 23/1982)
(C. Cass. sent. n. 1015/1985)
(C. Cass. Sent. n. 8129/1992)


di Luigi Pelliccia

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