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UFFICIO DEL PERSONALE

lunedì 28 febbraio 2011

Decorrenza Pensione di vecchiaia

L’I.N.P.S., con messaggio 23 febbraio 2011, n. 4497 ha fornito precisazione in merito alla decorrenza della pensione di vecchiaia in totalizzazione. In particolar modo l’Istituto ha chiarito che ‘la pensione di vecchiaia in totalizzazione deve ricorrere trascorsi 18 mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti, indipendentemente dalla data di presentazione della domanda di pensione. Pertanto al soggetto che presenta la domanda di pensione di vecchiaia in totalizzazione oltre il decorso dei 18 mesi successivi alla data di maturazione dei prescritti requisiti, il trattamento pensionistico è riconosciuto a far tempo dal 1° giorno del mese successivo al 18° mese’.

In ogni caso, resta ferma la possibilità da parte dell’interessato di richiedere che lo stesso decorra dal 1° giorno del mese successivo alla domanda, sempre che siano trascorsi 18 mesi dal perfezionamento dei requisiti.

mercoledì 23 febbraio 2011

La rateazione di debiti nei confronti dell’INPS

Dal primo gennaio 2011, ai sensi della L. n. 122/10, che all’art. 30 reca “Potenziamento dei processi di riscossione dell’INPS”, è stato introdotto un nuovo sistema di recupero crediti di competenza dell’INPS, che va a sostituire la procedura fino ad ora utilizzata, ovvero la formazione e consegna del Ruolo all’Agente di Riscossione e la creazione della cartella di pagamento come titolo per l’attivazione del recupero.

La nuova procedura, invece, prevede la notifica di un avviso di addebito con valore di titolo esecutivo, sia per le somme dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali denunciati e non versati alla scadenza, nonché per le somme accertate come dovute dagli uffici o dagli organi di vigilanza, anche di altri Enti. Restano esclusi dall’avviso in questione i crediti oggetto di rateazione o inseriti in un piano di rientro.

L’INPS è intervenuta con Circolare n. 168 per definire la nuova situazione.

Prima di emettere l’avviso di addebito, l’Istituto continuerà ad avvalersi della facoltà di richiedere il pagamento al debitore mediante un avviso bonario.

Qualora il debitore non provveda al pagamento nel termine stabilito nell’avviso bonario, si avrà la formazione e la notifica dell’avviso di addebito.

Il soggetto avrà tempo 60 giorni per ottemperare al pagamento, decorsi i quali conseguirà l’avvio delle azioni di recupero da parte dell’Agente della riscossione.

Avverso l’avviso di addebito può essere presentato ricorso presso il giudice del lavoro, entro 40 giorni dalla notifica (art. 24, D.Lgs. n. 46/99).

A seguito di verifica ispettiva dell’INPS o di altri enti, ovvero a seguito di accertamento d’ufficio notificato con lettera di diffida, al contribuente sarà intimato ad adempiere al pagamento delle somme dovute entro 90 giorni dalla notifica dell’atto o della lettera, decorsi i quali si perviene alla formazione di avviso di addebito da accertamento.

Entro lo stesso termine il contribuente può decidere di proporre ricorso amministrativo avverso l’atto notificato che implica la sospensione dell’azione di recupero fino alla decisione della questione da parte dell’organo amministrativo competente.

In caso di reiezione del ricorso, qualora il soggetto non provveda a pagare le somme dovute entro 10 giorni dalla notifica dell’esito del ricorso, verrà notificato l’avviso di addebito.

Il contribuente ha tempo 60 giorni per adempiere al pagamento, decorsi i quali l’Agente di riscossione procederà all’avvio delle azioni di recupero coattivo nei confronti del debitore.
Nuove precisazioni sono state dettate dall’INPS attraverso il Mess. n. 3881 del 16/02/2011, in cui si specifica che, a seguito della notifica degli accertamenti per verbali ispettivi, si possono verificare tre situazioni:

1-il debitore paga entro 30 giorni dalla notifica del verbale ispettivo per cui, nei 15 giorni successivi alla scadenza del termine perentorio, è ammesso a pagare la sanzione amministrativa nella misura minima prevista dalla legge;
2-il debitore paga il 31° giorno dalla notifica del verbale, per cui è tenuto al pagamento della sanzione amministrativa nella misura ridotta secondo l’art. 16 della L. n. 689/81;
3- il debitore non paga entro i 90 giorni dalla notifica del verbale per cui si procede alla formazione dell’avviso di addebito.

L’INPS è intervenuta dettando istruzioni anche in materia di rateizzazione dei debiti contributivi, attraverso la Circ. n. 106 del 3/8/2010, che ne stabilisce i criteri direttivi, e la Circ. n. 168 del 30/12/2010 con cui fornisce indicazioni operative per la gestione della rateizzazione sia dei crediti dei contributi dovuti per i lavoratori dipendenti ed autonomi, nonché per le gestioni separate.

La domanda per la richiesta della rateazione deve essere inoltrata alla sede INPS competente per territorio e deve contenere l’indicazione di tutti i debiti contratti dal contribuente verso l’Istituto (crediti già richiesti attraverso avviso bonario, crediti presenti nell’archivio gestione, crediti in fase legale, crediti iscritti a ruolo ma non ancora notificati).

Per accedere alla rateazione, non è più richiesto il versamento in via anticipata delle quote a carico del dipendente e 1/12 del debito contributivo, né l’inserimento in dilazione dei debiti in fase amministrativa insieme a quelli inseriti nella cartella esattoriale.

A proposito di questi ultimi, la rateazione su cartella esattoriale è di esclusiva competenza di Equitalia, mentre per quelli in gestione presso l’INPS la rateazione può essere richiesta anche senza chiedere all’ente suddetto la rateazione dei debiti in cartella. E’ possibile, come ha chiarito la Circ. n. 106/2010, la rateazione per le somme a carico del lavoratore che, però, non possono essere trattenute dal datore ma devono essere comunque versate all’INPS.

Le decisioni relative alle rateizzazioni spettano alle diverse articolazioni funzionali dell’INPS in relazione all’ammontare dell’importo del debito: direttore provinciale o sub provinciale entro il limite di 500000 euro, che sono tenuti ad adottare il provvedimento di accoglimento o reiezione entro 15 giorni dalla data di presentazione; direttore della sede regionale per importi tra i 500000-1000000 che hanno tempo per decidere entro 15 giorni dagli adempimenti istruttori dei direttori provinciali o sub-provinciali, i quali, a loro volta, sono tenuti a svolgerli entro lo stesso termine di 15 giorni.

Attraverso la Circ. n. 4 del 13/01/2011, l’INPS è intervenuto in merito alla rateazione dei crediti in fase amministrativa, ovvero quei crediti per i quali l’istituto deve ancora procedere alla formazione dell’avviso di addebito e alla consegna ad Equitalia.
In seguito alla consegna dell’avviso di addebito ad Equitalia, sarà possibile chiedere la dilazione dei crediti contenuti nell’avviso solo all’agente di riscossione competente.

Solo dopo che il contribuente ha sottoscritto il piano di ammortamento stabilito e ha contestualmente pagato la prima rata tramite modello F24, il piano non verrà trasferito ad Equitalia. Le successive rate devono essere pagate entro 30 giorni successivi.

Nel caso di mancato versamento di due rate consecutive si avrà la revoca della dilazione e i crediti residui saranno affidati all’Agente di riscossione che provvederà al recupero coatto.

Va specificato che sull’importo che si intende rateizzare, maturano interessi di dilazione, di
cui è possibile chiedere al Ministero del Lavoro la riduzione del tasso d’interesse fino al raggiungimento di quello legale.

La rateizzazione di tali somme può avere una durata non superiore ai 24 mesi che, previa autorizzazione ministeriale, può essere prolungata fino a 36 ovvero 60 mesi, ma solo per circostanze di carattere eccezionale a fronte delle quali non è possibile regolarizzare la propria posizione ricorrendo a norme di carattere generale, nonché debiti superiori ai 5164.57 euro, in presenza di una situazione reddituale precaria debitamente dimostrata da documentazione fiscale.

La rateizzazione a 36 mesi è possibile qualora i debiti dipendano da calamità naturali; procedure concorsuali per le quali siano state emanate i provvedimenti dichiarativi; carenza temporanea di liquidità finanziaria derivante da ritardato introito di crediti maturati nei confronti della PA, dello Stato o altri Enti pubblici; ricorrenza di uno stato di crisi aziendale dovuto a contrazione o sospensione dell’attività produttiva per eventi eccezionali non dovuti dall’azienda; trasmissione agli eredi di debiti contributivi, carenza temporanea di liquidità finanziaria per difficoltà economiche, sociali, territoriali o di settore; pagamento di contributi per scadenze concomitanti.

Più restrittive le condizioni necessarie per la rateizzazione in 60 mensilità, possibile solo se il mancato pagamento sia dipeso da incertezze oggettive dovute a contrastanti o sopravvenuti orientamenti giurisprudenziali o amministrativi.

L’omissione di pagamento da parte del debitore anche di una sola mensilità o comunque il mancato versamento puntuale, comporta la revoca della rateazione, anche se il Direttore di sede ha facoltà di valutare la situazione del soggetto in questione , potendo decidere anche per la prosecuzione della dilazione del pagamento.

Certificati di malattia

Il Collegato lavoro (L. n. 183/2010) ha esteso la disciplina relativa al rilascio e alla trasmissione dei certificati di malattia prevista per il settore pubblico (art. 55 septies, D.Lgs. n. 150/09) ai dipendenti da lavoro privato, ai sensi della quale diventa obbligatorio l’invio telematico dei certificati di malattia all’INPS direttamente ad opera del medico o della struttura sanitaria che lo rilascia.

Il sistema, già a regime per la PA, è operativo per il settore privato dal 31 gennaio 2011, al termine del periodo transitorio previsto al fine di favorire l’implementazione dei nuovi meccanismi e durante il quale è stata prevista una sorta di sanatoria per quei medici che ancora non si fossero adeguati.

La procedura, stando anche alle indicazioni delle circolari INPS, che da ultimo è intervenuto con Circ. n. 21 del 31/01/2011, facendo il punto sullo stato di attuazione della normativa, prevede che il medico abilitato a rilasciare la certificazione di malattia, dipendente del SSN, convenzionato o libero professionista, ha l’obbligo di trasmettere il certificato per via telematica al Sistema di accoglienza centrale (SAC) –infrastruttura tecnologica del MEF- che, a sua volta, provvede ad inoltrarla all’INPS.

L’omissione della trasmissione telematica del certificato costituisce illecito disciplinare per i dipendenti del SSN, che può portare fino al licenziamento, nonché violazione della responsabilità convenzionale per i medici convenzionati, che può implicare fino alla decadenza della convenzione.

Contestualmente il medico è tenuto a rilasciare :
- copia cartacea del certificato telematico, contenente i dati del lavoratore e del medico stesso, in cui sono specificate prognosi e diagnosi, da consegnare direttamente al lavoratore oppure, su sua richiesta, da inviare alla propria casella di posta elettronica o PEC; qualora fosse impossibilitato ad effettuare una di tali operazioni il lavoratore può richiedere il numero di protocollo identificativo del certificato inviato alla SAC;
- l’attestato di malattia, dove è indicata la prognosi, che è destinato al datore di lavoro che lo riceve tramite il lavoratore, entro due giorni attraverso raccomandata, oppure attraverso la procedura di ricezione delle attestazioni direttamente da parte dell’INPS. Qualora opti per questa modalità, il datore riceve l’attestato consultando il sito dell’INPS, a cui accede tramite codice fiscale e PIN (richiesto tramite INTERNET, Contact Center o direttamente all’INPS), oppure, su sua debita richiesta, gli viene spedito alla propria casella di PEC.

Sicuramente trattasi di una procedura volta a limitare la produzione di documenti cartacei e velocizzare e facilitare la comunicazione tra il mondo del lavoro, pubblico e privato, e le istituzioni, che una volta a regime potrà produrre buoni risultati, anche se per il momento è da rilevare che le numerose difficoltà tecniche, sebbene sia finito il periodo transitorio, impediscono la funzionalità effettiva del servizio.

martedì 22 febbraio 2011

DETASSAZIONE E ACCORDO COLLETTIVO: AGENZIA E MINISTERO SCIOLGONO I DUBBI

Detassazione del salario variabile solo se frutto di accordi collettivi territoriali o aziendali di produttività.

La circolare congiunta del Ministero del Lavoro e dell'Agenzia delle Entrate del 14 febbraio 2011, n. 3, risolve in questo senso il dubbio, sollevato da alcune interpretazioni non coerenti con la lettera e la ratio della legge, sulle condizioni di protrazione, anche per il 2011, della applicazione dell'aliquota sostitutiva del 10 per cento.

Ed invero il raccordo fra la norma in materia di «contratto di produttività» (prevista dall'articolo 53 del D.L. n. 78 del 2010) e l'articolo 1, comma 47, della legge di stabilità per il 2011 (che espressamente si autodefiniva una «attuazione», appunto, del citato contratto di produttività), non può che portare a ritenere la necessità, per il 2011, che gli importi non soltanto siano erogati a titolo di incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, in relazione a risultati riferibili all’andamento economico o agli utili della impresa o ad ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale (aspetti sulla cui casistica si può rimandare all'ampia prassi di questi due anni del Ministero del Lavoro e dell'Agenzia delle Entrate), bensì anche che essi siano riconosciuti in attuazione di quanto previsto da uno specifico accordo o contratto collettivo territoriale o aziendale.

L'agevolazione, introdotta in via sperimentale nel D.L. n. 93 del 2008 nell'ambito di una serie di misure finalizzate alla salvaguardia del potere di acquisto, e poi prorogata fino al 2010 anche al fine di accompagnare la ripresa, viene quindi canalizzata in un'ottica sindacale e partecipativa a sostegno della contrattazione collettiva aziendale e/o territoriale di produttività del settore privato.

Non sarà quindi più sufficiente un accordo diretto lavoratore - dipendente.

Il meccanismo rimane, tuttavia, flessibile ed esteso. Non sono infatti applicabili alla misura della detassazione i principi che l'I.N.P.S. (circolare n. 82/2008) ha dettato in merito alle condizioni di accesso, su istanza aziendale, allo sgravio contributivo di cui all'articolo 1, comma 67, della legge n. 247 del 2007.

L'I.N.P.S., in quella circostanza, si era espressa nel senso che per l’accesso al beneficio della decontribuzione fosse vincolante il deposito, presso la Direzione provinciale del lavoro competente, degli accordi sottoscritti dai datori di lavoro.

Nel caso della detassazione, invece, posto che essa non succede ad una previa istanza e ad un'ammissione allo sgravio (come invece accade per la decontribuzione, anche in
virtù dei limiti delle risorse stanziate e, di conseguenza, anche della necessità di tener conto della priorità delle domande), la necessità di un previo accordo collettivo va letta, come confermano il Welfare e l'Agenzia delle Entrate, in senso ampio, nella accezione cioè del diritto comune dei contratti e delle obbligazioni, ove manca una tipizzazione di legge e persino un onere di forma.

Non essendo indispensabile una prova cartolare dell'accordo collettivo, è quindi sufficiente, anche nello spirito di evitare interpretazioni restrittive e formalistiche, l'attestazione da parte datoriale, che potrà essere fatta anche nel C.U.D., di aver dato attuazione a contratti territoriali o di avere concordato, a livello aziendale (anche per una pluralità di impianti e siti produttivi dislocati a livello territoriale), maggiorazioni retributive correlate ad incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, o a ogni elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale.

Stante l’applicazione della misura negli anni passati anche ai contratti collettivi nazionali di settore che, non di rado, sono
appositamente intervenuti per rendere operativa l'agevolazione fiscale in esame, pare alquanto opportuna la sottolineatura, nella nuova circolare, circa la possibilità di stipulazione di appositi accordi o contratti territoriali o anche solo aziendali (nella ampia accezione sopra ricordata) che replichino i contenuti della contrattazione nazionale di riferimento (come, ad esempio, lo straordinario, i turni, il lavoro notturno) al fine di mantenere l’operatività delle intese raggiunte in attuazione della misura.
Così come nulla vieta, sempre al fine di rendere operativa la misura, la stipulazione di appositi accordi territoriali quadro o aziendali che disciplinino la materia, anche rinviando ai contenuti dei contratti collettivi nazionali di riferimento quanto a istituti come lo straordinario, il lavoro notturno o i turni.

È sufficiente, peraltro, che detti accordi prevedano modalità di organizzazione del lavoro che siano tali, nella sostanza e per
valutazione della parte datoriale, da perseguire una maggiore produttività e competitività aziendale, senza che sia necessario che
l’accordo o il contratto collettivo espressamente e formalmente dichiari che le maggiorazioni siano finalizzate ad incrementi di
produttività.

da «Guida al lavoro», 25 febbraio 2011, n. 9 di Michele Tiraboschi

COMPENSAZIONI A marzo le «nuove» compensazioni

La compensazione dei debiti erariali presso Equitalia è possibile utilizzando i crediti d'imposta, come previsto dall'articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997. Infatti, è stato finalmente pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» n. 40 del 18 febbraio il decreto del ministero dell'Economia datato 10 febbraio 2011 che attua il nuovo regime delle compensazioni.

Sotto il profilo operativo manca ancora l'istituzione dei codici tributo da utilizzare per i versamenti delle somme iscritte a ruolo che dovranno essere emanati dall'agenzia delle Entrate con una apposita risoluzione. Quindi ora i contribuenti che hanno arretrati con l'agente della riscossione possono eliminare i debiti erariali mediante la compensazione. In questo modo, potranno procedere ad utilizzare il credito d'imposta residuo per compensare gli altri debiti nel modello F24.

Infatti, secondo la tesi dell'agenzia delle Entrate (ribadita a Telefisco 2011) è inibita la facoltà di compensare debiti tributari di qualsiasi importo se il contribuente ha debiti erariali di importo superiore a 1.500 euro il cui termine di pagamento sia scaduto.

Ovviamente, le somme a credito possono essere utilizzate per compensare sia i debiti erariali scaduti sia le cartelle di pagamento notificate da meno di 60 giorni, ma il perimetro della compensazione rimane quello delle imposte erariali alle quali la relazione di accompagnamento ha aggiunto l'Irap; non sarà possibile ad esempio compensare debiti per iscrizioni a ruolo di contributi previdenziali.

Il Sole 24 ORE di sabato 19 febbraio 2011

lunedì 21 febbraio 2011

Il lavoro parasubordinato

Il Codice Civile stabilisce che il rapporto giuridico che può instaurarsi tra il prestatore ed il datore di lavoro può essere un rapporto di subordinazione ovvero autonomo, due tipologie che, dati i rispettivi elementi caratterizzanti, risultano essere agli antipodi.

Tratto qualificante il lavoro subordinato è la posizione di dipendenza del lavoratore rispetto al datore di lavoro nel prestare la propria attività in cambio di debita retribuzione, al contrario dell’altra fattispecie che, appunto, si connota per l’autonomia del lavoratore nello svolgere un’opera o un servizio nei confronti del committente, con piena discrezionalità riguardo al tempo, al luogo e alle modalità.

Tuttavia, sul mercato del lavoro ci sono tutta una serie di formule contrattuali, tra cui la collaborazione coordinata e continuativa, il lavoro a progetto, il contratto di agenzia, che non sono riconducibili né all’una, né all’altra tipologia di rapporto giuridico, ma che vengono inclusi nel rapporto parasubordinato il quale, alla luce delle proprie peculiarità, si pone proprio a metà strada tra la subordinazione e l’autonomia.

La parasubordinazione trova il suo fondamento normativo nell’art. 409 del c.p.c. che, seppure indirettamente, ne individua i profili caratterizzanti:

- collaborazione, intesa come lo “svolgimento di ogni attività finalizzata al raggiungimento di scopi determinati da altri” (Cass. 21/02/98, sent. n. 1897 ), che si differenzia dal vincolo della subordinazione proprio del rapporto parasubordinato;
- coordinamento nella realizzazione dell’opera con il datore di lavoro il quale può, all’uopo, fornire delle indicazioni nei limiti dell’autonomia professionale del collaboratore; nonché forme di coordinamento funzionale con la struttura organizzativa, ma è escluso l’inserimento strutturale del lavoratore nell’organizzazione gerarchica dell’impresa;
- continuità della prestazione che non deve essere occasionale ma deve durare nel tempo, con un impegno costante da parte del collaboratore;
- personalità della prestazione, che deve essere realizzata attraverso l’apporto lavorativo proprio del collaboratore, il quale, nell’espletamento della stessa, può utilizzare altri mezzi o essere coadiuvato da altri soggetti, fermo restando la preminenza della sua partecipazione.

Vengono ricondotti alla nozione di parasubordinazione “i rapporti d’agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato” (art. 409 c.p.c.).

Alla luce di quanto detto, i rapporti di lavoro parasubordinati si differenziano dalla subordinazione dal momento che tra collaboratore e committente si instaurano forme di coordinamento che non possono intaccare l’autonomia del lavoratore nell’esecuzione della prestazione e che non devono presentare i caratteri propri del rapporto subordinato, quali la sottoposizione al potere organizzativo, direttivo, disciplinare del datore di lavoro.

Ne deriva che al lavoro parasubordinato non si applicano gli istituti tipici della subordinazione, fatta eccezione per il rito del lavoro, come esplicitamente disposto dall’art. 409 c.p.c., e per le rinunce e le transazioni (art. 2113 c.c.).
Al contrario, il rapporto di lavoro parasubordinato si differenzia dal lavoro autonomo in quanto le forme di coordinamento tra le due parti sono molto più pregnanti rispetto ai rapporti intessuti nel lavoro autonomo. Le due tipologie presentano profili di differenziazione, inoltre, sotto gli aspetti della tutela previdenziale ed assicurativa.

A proposito di benefici pensionistici, i lavoratori cd. indipendenti vanno ad alimentare una gestione separata presso l’INPS deputata alla raccolta dei contributi e alla erogazione delle prestazioni, rispetto alla quale la pensione si calcola rispettando il criterio “contributivo” in base ai contributi effettivamente versati nell’arco della vita lavorativa, per cui i requisiti per ottenere la rendita sono una soglia di età minima e una contribuzione pari ad almeno 5 anni, oppure un’anzianità contributiva di almeno 40 anni; la base imponibile viene calcolata nel rispetto del criterio di cassa.

Le aliquote contributive, i criteri di ripartizione del contributo tra committente e prestatore, nonché la tipologia di erogazioni a cui hanno diritto i soggetti interessati variano a seconda delle categorie considerate e di altre circostanze come la contemporanea iscrizione presso altre gestioni previdenziali obbligatorie.

Per i collaboratori coordinati e continuativi privi di tutela previdenziale l’assicurazione obbligatoria è cominciata a partire dal 1 aprile 1996, per i già pensionati e iscritti ad altre forme pensionistiche obbligatorie dal 30 giugno del 1996.

Qualora la contribuzione versata alla gestione separata non è sufficiente ad attribuire un trattamento pensionistico autonomo, è possibile la restituzione dei contributi, a patto che l’interessato non sia pensionato presso differente gestione, poiché se, invece, dovesse essere iscritto viene di fatto esclusa la restituzione, in quanto la contribuzione già versata è destina a formare la pensione supplementare (Cass. Sez. Unit., sent. n. 879/2007).

In caso di pensionamento presso una cassa di previdenza professionale non è previsto dall’INPS, invece, la pensione supplementare, bensì l’Istituto ha chiarito che i soggetti ultrasessantacinquenni che iniziano a svolgere l’attività hanno l’obbligo di iscriversi alla gestione, mentre chi non ha richiesto la cancellazione non può esercitare tale facoltà; gli stessi soggetti, infine, non hanno titolo al rimborso dei contributi versati anche se cessino l’attività lavorativa senza aver conseguito i contributi pensionistici (INPS, Circ. 104/01).

Dal 2008, ai lavoratori non iscritti ad una forma pensionistica obbligatoria ma assicurati presso gestione separata, si applicano le disposizioni previste per il diritto e l’accesso alla pensione previste per i lavoratori dipendenti. Per i lavoratori iscritti ad altra forma pensionistica obbligatoria, invece, si applicano le disposizioni in materia pensionistica previste per gli esercenti all’attività commerciale.

E’ possibile il trasferimento presso la gestione separata dei contributi già versati presso l’assicurazione generale obbligatoria, a condizione che la pensione venga liquidata con il metodo contributivo e che si raggiungono almeno 15 anni di contribuzione di cui 5 versati con il sistema contributivo. I collaboratori, inoltre, pur non avendo raggiunto i requisiti per il diritto alla pensione relativa alla gestione separata, conseguono la titolarità di un trattamento pensionistico a carico delle gestioni obbligatorie oppure di un fondo esclusivo (INPS, Mess. n. 404/03) qualora abbiano raggiunto i requisiti di età introdotti dalla riforma delle pensioni (dal gennaio 2008 l’età pensionabile è pari a 60 anni per le donne, 65 per gli uomini, e devono essere rispettate le “finestre d’accesso” per il pensionamento di vecchiaia).
Dal primo gennaio del 1998 ai co.co.co. è stato riconosciuto un contributo dello 0,5 %, che dopo il 2007 è stato aumentato allo 0.72%, al fine di finanziare la tutela della maternità e gli assegni familiari.

L’indennità di malattia (D.M. del 12 gennaio 2001) è corrisposta nei confronti di quei lavoratori a cui sono attribuibili tre mensilità di contribuzione nell’anno antecedente la data di inizio dell’evento, purché il reddito individuale non superi il 70% del massimale contributivo riferito all’anno solare.

A tali soggetti è corrisposta una indennità giornaliera per un numero massimo di giorni pari ad un sesto della durata complessiva del rapporto di lavoro comunque non inferiore a 20 giorni nell’arco dell’anno, fatta esclusione per gli eventi morbosi di durata inferiore ai quattro giorni; in caso di degenza ospedaliera il massimo indennizzabile è pari a 180 giorni nell’arco dell’anno.

Anche per la maternità sono richiesti tre mesi di contribuzione precedenti al periodo di astensione obbligatoria. Nei cinque mesi del periodo di congedo di maternità, le collaboratrici, ovvero lavoratrici a progetto o associate in partecipazione, sono tenute all’effettiva astensione dal lavoro (D.M. 1217/07). E’ altresì riconosciuto il diritto al congedo parentale, entro il limite massimo di tre mesi nel primo anno di vita del bambino.

Va specificato che nei periodi di astensione per maternità, sono accreditati i contributi ai fini del diritto alla pensione e della determinazione della misura della stessa.

Agli iscritti alla gestione separata è stata estesa la disciplina riguardante gli assegni al nucleo familiare ormai a decorrere dal gennaio del 1998. Il diritto all’assegno spetta nella misura in cui la somma dei redditi derivanti dalle attività che danno luogo all’iscrizione alla gestione non deve essere inferiore al 70% del complessivo reddito familiare percepito nell’anno solare.

Anche per i lavoratori che rientrano nell’area della parasubordinazione è prevista l’iscrizione all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, qualora svolgano attività che risultano assoggettate a tale obbligo assicurativo (D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124). Il premio assicurativo è ripartito nella misura di un terzo a carico del lavoratore e restante parte a carico del committente.

La L. n. 2/09, in via sperimentale per il triennio 2009-2011, prevede il riconoscimento ai collaboratori, iscritti in via esclusiva alla gestione separata dell’INPS, di ammortizzatori pari ad una somma liquidata in un’unica soluzione pari al 20% del reddito percepito nell’anno precedente. La fruizione dell’assegno richiede la presenza di alcune condizioni quali:
- operare in regime di monocommittenza;
- aver conseguito nell’anno precedente un reddito superiore ai 5 mila euro, ma che non superi il minimale di reddito contributivo, e accreditato presso la gestione separata dell’INPS un numero di mensilità almeno pari a tre e non superiore a dieci;
- avere nell’anno di riferimento un accreditamento di almeno tre mensilità presso la gestione separata dell’INPS;
- si sia verificata la cessazione del rapporto.

sabato 19 febbraio 2011

Le nuove istruzioni operative al personale ispettivo del Ministero del Lavoro

L’articolo 33 della Legge 4 novembre 2010, n. 183 [‘Collegato Lavoro’] introduce importanti novità in merito l’attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale.

La sopracitata norma va a sostituire l’articolo 13 del D.Lgs. 124/2004 introducendo per la prima volta una disciplina di dettaglio sulla verbalizzazione dell’attività svolta dal personale ispettivo e modificando profondamente la procedura di diffida obbligatoria.

1. Accesso sui luoghi di lavoro del personale ispettivo

La nuova formulazione dell’articolo 13 del D.Lgs. n.124/2004 ribadisce che il personale ispettivo, previo adempimento dell’obbligo di qualificarsi di cui all’articolo 7 del Codice di comportamento, ha la facoltà di accedere nei luoghi di lavoro nonché di ‘visitare in ogni parte, a qualunque ora del giorno e della notte, i laboratori, gli opifici, i cantieri ed i lavori, in quanto siano sottoposti alla loro vigilanza, nonché i dormitori e refettori annessi agli stabilimenti; non di meno essi dovranno astenersi dal visitare i locali annessi a luoghi di lavoro e che non siano direttamente o indirettamente connessi con l’esercizio dell’azienda, sempre che non abbiano fondato sospetto che servano a compiere o nascondere violazioni di legge’.

2. LA PROCEDURA DI DIFFIDA

Ai sensi dell’articolo 33 del già citato Collegato-Lavoro, a seguito di attività di verifica da parte del personale ispettivo ed in ogni caso prima della conclusione dell’accesso ispettivo, deve essere rilasciato al datore di lavoro ovvero alla persona presente all’ispezione [con obbligo di tempestiva consegna al datore] il verbale di primo accesso.
Tale consegna potrà essere omessa soltanto in caso di esplicito rifiuto di ricevere il verbale o in caso di assenza dei predetti soggetti alla conclusione dell’ispezione. Pertanto lo stesso dovrà contenere espresso riferimento alla circostanza che ha impedito la consegna immediata dell’atto [Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, circolare 9 dicembre 2010, n. 41].

Detto verbale dovrà obbligatoriamente contenere [ Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, circolare 9 dicembre 2010, n. 41]:

- l’identificazione dei lavoratori trovati al lavoro e la descrizione delle modalità del loro impiego nonché la descrizione delle attività compiute dal personale ispettivo. In ogni caso la norma non va interpretata in senso letterale, in quanto in taluni casi è impossibile identificare tutti i lavoratori presenti, soprattutto nell’ambito di vigilanze da svolgersi presso unità produttive in cui operano centinaia di lavoratori. Infatti, l’indicazione puntuale e analitica di tutti i lavoratori trovati intenti al lavoro risulterà fondamentale nelle ipotesi in cui sia necessario verificare il rispetto della disciplina concernente la regolare costituzione del rapporto di lavoro. Diversamente, qualora l’accertamento afferisca ad altre problematiche, si potrà indicare nel verbale la generalità del personale impiegato come risultante dalla documentazione aziendale che si intende esaminare [ es. Libro unico del lavoro].In ogni caso, ove non sia possibile raccogliere le dichiarazioni di tutto il personale impiegato, si potrà procedere all’acquisizione di un numero di dichiarazioni sulla base di un campione significativo, selezionato tenendo presente le modalità di espletamento delle prestazioni nonché i modelli organizzativi concretamente adottati e, in ogni caso, esplicitando nel verbale stesso i criteri utilizzati per l’individuazione del suddetto campione;

- le eventuali dichiarazioni rese dal datore di lavoro ovvero o da chi lo assiste ovvero lo rappresenta al momento dell’accesso ispettivo. La dichiarazione da verbalizzare potrà essere formalizzata al personale ispettivo anche mediante e-mail ovvero fax che siano inoltrati sul luogo dell’ispezione durante lo svolgimento della fase iniziale di essa, purché prima della chiusura del verbale di primo accesso. Le dichiarazioni formalizzate via e-mail o via fax devono essere inequivocabilmente riconducibili al soggetto che le fornisce, attraverso la sottoscrizione delle stesse e l’allegazione di copia di un valido documento di identità.

- ciascuna richiesta, anche documentale, utile al proseguimento dell’istruttoria finalizzata all’accertamento degli illeciti, ferme restando le sanzioni previste a fronte di dichiarazioni false o mendaci di cui l’articolo 4, comma 7, della Legge 22 luglio 1961, n.628. Si ricorda che con l’introduzione del Libro Unico del Lavoro, sul luogo di lavoro non è possibile trovare alcun documento.

Pertanto il personale ispettivo sarà autorizzato a richiederne la visione anche successivamente al rilascio del verbale di primo accesso. In tal caso restano ferme le sanzioni previste dall’articolo 4 della Legge 628/1961 in caso di erronea, incompleta o mancata presentazione della documentazione richiesta dall’ispettore del lavoro.

Pertanto, una corretta interpretazione della sopracitata norma consiste nel garantire una più efficace ispezione, che nella maggior parte dei casi sarà limitata alle attività accertative che sono oggetto di richiesta di intervento.

1.2 Potere di diffida e verbalizzazione unica

In caso di constatata inosservanza di norme di legge, ovvero dei contratti collettivi dai quali derivino sanzioni amministrative, il personale ispettivo può provvedere a diffidare il trasgressore [o eventualmente all’obbligato in solido] alla regolarizzazione delle inosservanze entro il termine di 30 giorni dalla data di notificazione del verbale.

Il trasgressore che ottemperi l’irregolarità a seguito di diffida è ammesso al pagamento di una somma pari all’importo della sanzione in misura minima prevista dalla legge ovvero, in presenza di sanzioni in misura fissa, ad un quarto dell’importo stabilito.

Il pagamento dell’importo – da effettuare entro ulteriori 15 giorni rispetto al predetto termine di 30 giorni stabilito per la notificazione del verbale di accertamento – unitamente all’ottemperanza alla diffida, estingue il procedimento sanzionatorio.

L’adozione delle diffida interrompe i termini fissati dall’articolo 14 della Legge 689/1981 per la contestazione mediante notificazione degli illeciti amministrativi riscontrati, fino alla scadenza del termine per la regolarizzazione e per il pagamento della sanzione minima. Ciò concerne che, verificata l’inottemperanza dalla diffida, l’attività sanzionatoria riprende il suo corso e se non viene fornita prova dell’avvenuta regolarizzazione, il verbale unico produce gli effetti della contestazione e notificazione degli addebiti [Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, circolare 9 dicembre 2010, n. 41].

A differenza della previgente disciplina contenuta nell’articolo 13 del D.Lgs. 23 aprile 2004, n.124, il destinatario della diffida non è più il datore di lavoro, ma il trasgressore – ovvero la persona o le persone che hanno agito per la società.

Pertanto, in ragione del fatto che i destinatari della diffida sono sia il trasgressore – o i trasgressori - nonché l’obbligato in solido, l’eventuale regolarizzazione ad opera di uno solo di tali soggetti consente l’ammissione al pagamento degli importi in misura minima da parte di tutti i destinatari della diffida. Al contrario, il mancato pagamento della sanzione in misura minima da parte di uno dei trasgressori non si riflette sugli importi sanzionatori cui sono tenuti gli altri responsabili che, successivamente alla regolarizzazione delle violazioni, potranno comunque versare la sanzione in misura minima.

L’ammissione alla procedura di diffida e la contestazione delle violazioni amministrative è effettuata mediante la notifica al trasgressore di un unico verbale di accertamento e notificazione [‘verbale unico’].

La predisposizione di un unico verbale evidenzia la volontà del legislatore di raccogliere in un unico atto ogni elemento sia riguardo la diffida nonché le inosservanze inerenti la contestazione degli illeciti, evitando così la redazione di molteplici provvedimenti.

Il verbale unico deve contenere:

1. gli esiti dettagliati dell’accertamento, con puntuale indicazione delle fonti prova degli illeciti rilevati; a tal proposito il Ministero ribadisce che la dichiarazione del lavoratore al quale si riferiscono gli accertamenti non è per sé sola prova ma elemento indiziario , che per acquisire valenza probatoria deve essere confermata e corrobata da altri elementi documentali o dichiarativi. Di fatto in merito alle dichiarazioni, il Ministero ha precisato di riportarle anche ‘virgolettandone’ il contenuto.

2. la diffida a regolarizzare gli adempimenti sanabili, entro il termine di 30 giorni dalla notifica del provvedimento;

3. la possibilità di estinguere gli illeciti ottemperando alla diffida e provvedendo al pagamento della sanzione in misura minima nei termini stabiliti dalla legge;

4. l’ammissione al pagamento della sanzione ridotta, pari al doppio del minimo o ad un terzo del massimo, perle violazioni non sanate o non sanabili, entro il termine di 60 giorni dalla notifica del provvedimento;

5. l’indicazione degli strumenti di difesa e degli organi ai quali proporre ricorso, con specificazione dei termini di impugnazione. In particolar modo il ministero ha individuato due strumenti di impugnazione del verbale unico:

- gli scritti difensivi al Direttore della Direzione provinciale per i rapporti di lavoro;
- ricorso al Comitato regionale per i rapporti di lavoro, in caso di sussistenza o qualificazione dei rapporti di lavoro. In detta ipotesi, in caso di illeciti diffidabili la data per la presentazione del ricorso decorre a far data dal 45° giorno successivo alla notificazione del verbale unico; in caso di illeciti non diffidabili il giorno decorre a far data dal 30° giorno successivo alla notificazione del predetto verbale.

Apprendistato e la Sentenza della Corte Costituzionale 16 novembre 2010, n. 334

La Corte Costituzionale, con recente sentenza 16 novembre 2010, n. 334 si è di nuovo occupata, alla stregua della sentenza n. 176/2010, della problematica relativa al riparto di competenza legislativa tra Stato e Regioni in materia di apprendistato.

DI fatto, la suddetta sentenza ha affrontato il procedimento di legittimità costituzionale degli articoli 6, comma 4, 25 comma 1, 28 comma 1 e 29 commi 1,2,3, della Legge Regionale Abruzzo 4 dicembre 2009, n. 30, processo promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

La legge regionale Abruzzese ha di fatto dettato una disciplina organica della materia, andando a definire tutte e tre le tipologie di apprendistato contenute nel D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 [apprendistato per il diritto e dovere di istruzione e formazione, apprendistato professionalizzante, apprendistato per alta formazione].

Secondo la Presidenza del Consiglio, gli articoli sopracitati violerebbero la competenza legislativa dello Stato in materia di ordinamento civile [Articolo 117 Cost. ] in quanto:

- In merito all’articolo 6, comma 4, la legge Regione Abruzzo rimanda alla contrattazione collettiva la formazione formale, in riferimento sia alla formazione interna che quella esterna all’impresa. In particolar modo è rimandata alla contrattazione collettiva la valutazione della capacità formativa delle aziende. Allo stesso modo, i primi tre commi dell’articolo 29 stabilendo i requisiti ritenuti necessari per l’erogazione della formazione formale all’interno delle imprese, finirebbero anch’essi per definire la valutazione della capacità formativa dell’azienda.
-
- Quanto concerne l’articolo 25,comma 1, viene fissata a quindici anni l’età per iniziare l’attività di formazione formale esterna all’impresa correlata all’apprendistato per l’espletamento del diritto dovere di istruzione e formazione. Di fatto tale previsione viola le norme generali sull’istruzione e i principi fondamentali della materia dal momento che contrasta con l’articolo 1, comma 622 della Legge 27 dicembre 2006,n. 296 che ha elevato a sedici anni l’età per l’accesso al lavoro.
-
- Da ultimo, l’articolo 28 rimanda alla giunta regionale la facoltà di fissare i profili formativi dell’apprendistato professionalizzante. Secondo la Presidenza del Consiglio tale norma violerebbe l’articolo 49 comma 5 del D.Lgs. n. 276/2003 in quanto, secondo il predetto articolo, ‘la regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato professionalizzante è rimessa alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, d'intesa con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale e nel rispetto dei seguenti criteri e principi direttivi’.Di fatto la disposizione impugnata violerebbe la competenza legislativa dello stato in materia di ordinamento civile, dal momento che i profili formativi dell’apprendistato professionalizzante atterrebbero al sinallagma contrattuale.
-
- Ultimo motivo di ricorso è rappresentato dall’articolo 25 comma 2 della legge regionale. Secondo la Presidenza, la suddetta norma viola la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile nonché i principi fondamentali in materia di istruzione e tutela della sicurezza del lavoro. La regione Abruzzo ha di fatto demandato alla giunta regionale la regolamentazione della formazione formale esterna all’impresa: la suddetta disposizione è pertanto incompatibile con l’ordinamento vigente in quanto l’articolo 48, comma 4 del D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 prevede che ‘la regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione è rimessa alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, d'intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentite le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nel rispetto dei seguenti criteri e principi direttivi’.

In riferimento all’articolo 6, comma 4 nonché art. 29, commi 1,2,3, la Corte ha di fatto escluso che tali norme abbiano invaso la sfera di competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile in quanto le suddette norme si limitano a formulare indicazioni generali relative alla capacità formativa dell’azienda, che riprendono, in modo generale, i requisiti già previsti dalla legislazione statale.



Con riferimento ai restanti motivi di ricorso, la Corte accoglie le censure mosse dalla Presidenza:

- In merito all’articolo 25, comma 1, la norma, nel prevedere che l’apprendistato professionalizzante, mediante la ‘ formazione formale esterna’ all’azienda, possa essere svolto da chi abbia compiuto il quindicesimo anno di età e non sia in possesso di una qualifica professionale, avrebbe invaso la competenza esclusiva dello Stato in materia di norme generali sull’istruzione. In particolar modo la suddetta disposizione sarebbe in contrasto con l’articolo 1, comma 622 della Legge 27 dicembre 2006, n. 296, che nell’estendere a dieci anni l’obbligo di istruzione, ha di fatto elevato da quindici a sedici anni l’età per l’accesso al lavoro. Pertanto, ai sensi della suddetta disposizione, l’accesso all’apprendistato professionalizzante può avvenire solo dopo il compimento del sedicesimo anno di età. Pertanto la norma regionale, è in contrasto con la disciplina statale sull’obbligo di istruzione: ne discende la violazione dell’articolo 117, comma 2 della Costituzione.
-
In ogni caso, si ricordo che il c.d. ‘Collegato Lavoro’ ha previsto la possibilità di accedere al contratto di apprendistato di primo tipo all’età di quindici anni: di fatto tale principio non modifica l’orientamento giurisprudenziale, il quale non ha voluto contrastare l’età di accesso alla suddetta tipologia di contratto ma ha voluto ribadire che tale età può essere definita solo a livello statale.

- Per quanto concerne gli articoli 25 comma 2 nonché 28, comma 1, le suddette norme violerebbero il principio di leale collaborazione, in quanto vanno contro agli articoli 48 comma 4 nonché 49, comma 5 del D.Lgs. n. 276/2003.

ROMENI E BULGARI: LE PROCEDURE DI ACCESSO AL MERCATO DEL LAVORO

Con la Circolare n. 707 del 31 gennaio 2011, il Ministero dell'Interno e del Lavoro hanno prorogato fino al 31 dicembre 2011 il regime transitorio per l’accesso al mercato del lavoro dei cittadini di Bulgaria e Romania.

Dal 1° gennaio 2007, la Romania e la Bulgaria sono entrate a far parte dell’Unione Europea e, per quanto riguarda le procedure di accesso al lavoro subordinato, lo Stato italiano aveva deciso dunque di avvalersi di un regime transitorio che prevede l’apertura immediata al mercato del lavoro per i cittadini bulgari e romeni solo in determinati settori produttivi e una procedura semplificata per i restanti settori.

IL LIBERO ACCESSO

Il regime transitorio prevede il libero accesso al lavoro per cittadini romeni e bulgari nei settori:

1. agricolo,
2. metalmeccanico,
3. turistico,
4. domestico, badante
5. edilizio
6. dirigenziale
7. attività stagionali
I datori di lavoro che rientrano nei settori qui sopra elencati devono rispettare gli adempimenti, già previsti per i lavoratori italiani effettuando quindi l’ordinaria comunicazione d’assunzione.


LA PROCEDURA SEMPLIFICATA

I datori di lavoro che rientrano nei restanti settori possono assumere tramite una procedura semplificata che consiste nella spedizione tramite raccomandata a/r, da parte del datore di lavoro allo Sportello unico della provincia in cui sarà svolta l’attività lavorativa, di una richiesta di nulla osta al lavoro, utilizzando il modello Sub Neocomunitari disponibile sul sito internet www.interno.it oppure www.lavoro.gov.it.assumere.

Il rilascio del nulla osta ai datori di lavoro avviene a cura dello Sportello unico per l’immigrazione della provincia competente, previa verifica da parte della DPL delle condizioni contrattuali applicate, senza alcun vincolo di quote numeriche senza dover procedere alla sottoscrizione del contratto di soggiorno.
Una volta ottenuto il nulla osta al lavoro il datore di lavoro potrà procedere alla comunicazione d’assunzione e quindi all’assunzione vera e propria.
Aggior

venerdì 18 febbraio 2011

Artigiani: riduzione dei premi per gli anni 2008, 2009 e 2010 con l’autoliquidazione

L’INAIL, con la circolare del 15/11/2011 n.16, ha fornito le istruzioni operative ed alcuni chiarimenti in merito alla riduzione dei premi assicurativi per gli anni 2008, 2009 e 2010 a favore delle aziende artigiane, così come previsto dalla Finanziaria 2007, che risultano in regola con tutti gli obblighi in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, che hanno adottato piani pluriennali di prevenzione e che non hanno registrato infortuni nel biennio precedente alla data di ammissione al beneficio.

Così come previsto dal DM 2/12/2010 la riduzione trova applicazione sia sui premi della polizza artigiani (premio speciale unitario) sia sui premi della polizza dipendenti (premi ordinari) nelle seguenti misure: 2% per l’anno 2008; 1,88% per il 2009 e 2,10% per il 2010.
Possono fruire dell’agevolazione le imprese artigiane che soddisfano i seguenti requisiti:

- siano in regola con tutti gli obblighi previsti dal decreto legislativo 626/1994, e successive modificazioni, e dalle specifiche normative di settore;
- non abbiano registrato infortuni nel biennio precedente alla data della richiesta di ammissione al beneficio.

L’INAIL provvederà d’ufficio a verificare la sussistenza dei requisiti e ad applicare la riduzione per gli anni 2008, 2009 e 2010 in occasione dell’autoliquidazione 2010/2011 del 16/02/2011. Quando la riduzione sarà a regime invece per fruire della riduzione le imprese interessate dovranno presentare apposita richiesta di ammissione. Questa richiesta dovrà essere prodotta con la dichiarazione annuale delle retribuzioni in occasione dell’autoliquidazione.

La circolare 16/2011 ricorda infine che la riduzione non si applica: ai premi evasi, ai premi calcolati d’ufficio in assenza di presentazione della dichiarazione annuale delle retribuzioni e alle posizioni assicurative territoriali per le quali il biennio di osservazione ai fini del requisito dell’assenza di infortuni non è completo.

Sono escluse pertanto le posizioni con data inizio attività successiva al primo gennaio del biennio di osservazione.

INAIL - Circolare 15/02/2011 n. 16

Incrementi di produttività: serve l’accordo territoriale o aziendale per la detassazione

L’Agenzia delle entrate, con la circolare 14/02/2011 n.3E, di concerto con il Ministero de llavoro, ha precisato che ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva del 10% prevista dal DL 185/200008 è sufficiente che le somme siano correlate a incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, in relazione a risultati riferibili all’andamento economico o agli utili dell’impresa o ad ogni altro elemento rilevabile ai fini del miglioramento della competitività aziendale.

Inoltre è richiesto che dette somme siano erogate in attuazione di quanto previsto da uno specifico accordo o contratto collettivo territoriale o aziendale della cui esistenza il datore di lavoro dovrà fornire prova se richiesta.

La circolare ricorda che l’agevolazione viene confermata anche per il 2011, ma che il limite complessivo di cui è possibile beneficiare è fissato in 6.000 euro lordi e che il reddito da lavoro dipendente percepito non sia superiore a 40.000 euro.

Per fruire dell’agevolazione non è necessario che l’accordo o il contratto collettivo espressamente e formalmente dichiarino che le somme corrisposte sono finalizzate a incrementi di produttività dato che l’imposta sostitutiva trova applicazione anche sul solo presupposto che essi siano stati corrisposti in attuazione di accordi o contratti collettivi territoriali o aziendali che prevedano modalità di organizzazione del lavoro che siano in base ad una valutazione datoriale tali da perseguire una maggiore produttività e competitività aziendale.

Tra gli istituti agevolabili, l’Agenzia delle entrate ricorda: lo straordinario (forfait o in senso stretto), il lavoro a tempo parziale, il lavoro notturno, il lavoro festivo, le indennità di turno o comunque le maggiorazioni retributive corrisposte per lavoro normalmente prestato in base a un orario articolato su turni.

Agevolabili anche i ristorni corrisposti ai soci delle cooperative se collegati ad un incremento di produttività.
Possono fruire dell’imposta sostitutiva anche i lavoratori in somministrazione sulle somme corrisposte dalle agenzie del lavoro dalle quali dipendono.

Agenzia Entrate - Circolare 14/02/2011 n. 3E

I.N.P.S. Precisazioni in materia dell'avviso di addebito a seguito di accertamento ispettivo

Il mancato pagamento dei contributi all'I.N.P.S. a seguito di verifiche ispettive può determinare differenti interventi sanzionatori in relazione al grado collaborativo del datore di lavoro inadempiente.

Sono previste tre ipotesi:

- Pagamento del debito entro 30 giorni dalla notifica del verbale ispettivo
Il trasgressore, o l’eventuale obbligato in solido, che paga il debito contestato entro 30 giorni dalla notifica del verbale ispettivo avente ad oggetto illeciti diffidabili è ammesso, nei 15 giorni successivi alla scadenza del suddetto termine perentorio, al pagamento delle sanzioni amministrative nella misura minima prevista
dalla legge.

- Pagamento del debito dal 31° giorno

Il trasgressore, o l’eventuale obbligato in solido, che paga il debito contestato dal 31° giorno dalla notifica del verbale ispettivo avente ad oggetto illeciti diffidabili non può più fruire del pagamento delle sanzioni amministrative in misura minima ma sarà ammesso a regolarizzare la sanzione amministrativa nella misura
ridotta di cui all’articolo 16 della Legge n. 689 del 1981.

- Mancato pagamento nel termine di 90 giorni dalla notifica del verbale

Trascorsi 90 giorni dalla notifica del verbale ispettivo senza che sia avvenuto il pagamento (ovvero sia stato proposto nei termini il ricorso amministrativo) si procede alla formazione dell’avviso di addebito.

Fonte: I.N.P.S., Messaggio 16/2/2011, n. 3881

giovedì 17 febbraio 2011

CONTRATTO A TERMINE DOPO IL COLLEGATO

La Corte di Cassazione, con riferimento alla controversia per la richiesta di illegittimità del termine di durata apposto a un contratto di lavoro e alla conseguente conversione in contratto a tempo indeterminato, dichiara non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 32, commi 5 e 6, legge 4 novembre 2010, n. 183, con riferimento agli articoli 3, 4, 24, 111 e 117 della Costituzione, e dispone la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale sospendendo il giudizio.

Corte di Cassazione
Ordinanza n. 2112 del 28 gennaio 2011

RIFIUTO DEL LAVORATORE DI ESEGUIRE LA PRESTAZIONE

E’ legittimo il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione, quando essa incida sulle immediate esigenze vitali del lavoratore stesso. In questo caso non si tratta
d’insubordinazione del comportamento del dipendente; ne consegue l’illegittimità del
suo licenziamento.

Corte di Cassazione
Sentenza n. 2153 del 31 gennaio 2011

martedì 15 febbraio 2011

RILASCIO DURC CASSE EDILI E RISPETTO LIMITI DEL PART TIME

Come noto, il C.C.N.L. edilizia industria considera il ricorso al lavoro a tempo parziale una ‘ prestazione eccezionale’: di fatto, ai sensi dell’articolo 78 del suddetto contratto collettivo ‘un’impresa edile non può assumere operai a tempo parziale per una percentuale superiore al 3% del totale dei lavoratori occupati a tempo indeterminato’ ferma restando la possibilità di ‘impiegare almeno un operaio a tempo parziale, laddove non ecceda il 30% degli operai a tempo pieno occupati nell’impresa’.

Ai sensi del suddetto articolo, inoltre ‘i contratti a tempo parziale, eccedenti le percentuali soprariportate, impediscono il rilascio del D.U.R.C. all’impresa richiedente’.

Pertanto, il superamento da parte dell’impresa delle percentuali massime di utilizzo del predetto contratto, è considerato elemento di irregolarità contrattuale e contributiva, con conseguente mancato rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva [D.U.R.C.].

La Commissione nazionale delle casse edili, attraverso le Comunicazioni n. 433, 436 e 447 ha rese note le modalità operative a cui le Casse Edili dovranno attenersi, per verificare il rispetto dei limiti previsti dagli accordi contrattuali per i rapporti di lavoro a tempo parziale per lavoratori assunti dopo la data del 1° gennaio 2011.

Di fatto, a partire da gennaio 2011 le Casse Edili, ai fini del rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva positivo, dovranno verificare il rispetto dei limiti previsti dalle normative contrattuali per i rapporti di lavoro a tempo parziale stipulati dopo il 1° gennaio 2011.

A tal proposito viene chiarito che verranno presi in considerazione tutti i rapporti di lavoro a tempo parziale in essere presso l’azienda a prescindere dalla data di attivazione: in particolar modo, in caso di superamento dei predetti limiti, i rapporti part time attivati prima del 1° gennaio 2011 saranno considerati validi, mentre per quelli attivati dopo, se di numero superiore al 3% dei dipendenti complessivi o al 30% degli operai a tempo pieno, sarà necessaria un’integrazione contributiva fino ad arrivare alla contribuzione prevista per il tempo pieno.

Ai fini del rispetto del limite del 30% degli operai a tempo pieno ovvero del 3% dei dipendenti complessivi:

- Nei casi di presenza di un solo rapporto di lavoro part time, stipulato successivamente al 1° gennaio 2011, verrà richiesto all’azienda una dichiarazione attestante l’esistenza di altri dipendenti operati denunciati presso altre Casse edili nonché, per le sole imprese edili artigiane fino a 3 dipendenti, copia della comunicazione inviata alle Organizzazione sindacali territoriali ai sensi dell’articolo 97 del C.C.N.L. 23 luglio 2008;
- Nei casi di denunce contenenti più rapporti di lavoro part time, verrà richiesta all’azienda una dichiarazione attestante il numero totale dei propri dipendenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato specificando il numero totale di operai a tempo parziale.

La nota chiarisce che l’azienda potrà giustificare l’utilizzo di lavoro a part time nei casi di attivazione per motivi di salute o assistenza ai familiari, fornendo alla Cassa edile la documentazione relativa alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

Per trasmettere tutte le dichiarazioni potrà essere utilizzato, da parte dell’azienda, il sistema M.U.T [ Modulo Unico Telematico].

Prima di emettere il D.U.R.C. negativo, accertata l’inosservanza delle norme contrattuali sopracitate, la Cassa Edile richiederà all’azienda l’integrazione degli accantonamenti e dei contributi dovuti in favore degli operai erroneamente dichiarati part time. Solo in caso di inottemperanza alle suddette disposizioni, l’impresa verrà segnalata alla BNI con conseguente esito negativo in caso di richiesta del D.U.R.C..

LA TUTELA DEL LAVORO FEMMINILE

Le donne da sempre lottano per affermare una posizione uguale rispetto al cosiddetto “sesso forte”, in particolar modo nel mondo del lavoro.
Tralasciando i controversi profili sociali di una così annosa e profonda questione, se si fa riferimento allo spettro normativo, incardinato sul fondamentale principio di uguaglianza consacrato nella Costituzione, si evince che il tenore delle disposizioni è volto a tutelare le donne non solo da fattispecie concrete, quanto piuttosto dalla “discriminazione”. Dagli anni Sessanta, infatti, sono state emanate norme volte ad affermare parità di trattamento economico, parità salariale nei settori dell’industria e dell’agricoltura, parità nell’accesso ai pubblici uffici, ovviamente parità rispetto agli uomini.
Il principio generale della parità dei diritti viene suggellato nel nostro ordinamento con la legge n. 903/1977, appellata “Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”, attraverso la quale si è cercato di predisporre degli strumenti concretamente idonei a contrastare le discriminazioni, sostenuto da una giurisprudenza che ha stabilito “tollerabili”, a parità di mansioni, differenziazioni di trattamento tra i sessi solo se “giustificate e ragionevoli” (Cort. Cost., sent. 9/03/1989, n. 103).
Nel 1984 è stata costituita presso la Presidenza del Consiglio la Commissione nazionale per le pari opportunità, formata da 30 donne in rappresentanza di associazioni e movimenti.
Contestualmente, il Legislatore ha ritenuto necessario intervenire al fine di rendere possibile una conciliazione tra attività lavorativa ed esigenze della vita privata di una donna, attraverso disposizioni riguardanti la maternità, come il D.Lgs. n. 645/1996 riguardante la tutela, la salute e la sicurezza delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, che hanno trovato una riorganizzazione sistematica attraverso il D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53”, incentrata sulla disciplina dei “congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessi alla maternità e paternità di figli naturali, adottivi e in affidamento, nonché il sostegno economico alla maternità e alla paternità” (art. 1).
Nel contesto comunitario le prime direttive in materia di parità di trattamento tra uomini e donne vengono emanante a metà degli anni Settanta:
 Dir. 75/117/CEE del 10 febbraio 1975). Direttiva del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile;
 Dir. 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE. Direttiva del Consiglio relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro), seguite, nel corso del tempo, da una serie di disposizioni che negli ultimi anni sono state riunite e riordinate in un unico testo, come la Dir. n. 2006/54/CE, la quale eleva a principio fondamentale la parità di opportunità tra uomini e donne, ribadendo la parità retributiva di uno stesso lavoro o di un lavoro al quale è attribuito un valore uguale; la parità di trattamento nell’accesso al lavoro, alla formazione, alla promozione professionale, alle condizioni di lavoro; la tutela dei diritti delle lavoratrici in congedo per maternità, nonché dei genitori in congedo parentale e/o di adozione.
L’ordinamento italiano ha recepito la direttiva europea emanando il “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna” (D.Lgs. n. 198/06) volte ad eliminare ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso avente come risultato quello "di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o l'esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo" (art. 1).
La norma, in particolare, vieta qualsiasi tipo di discriminazione:
 nell'accesso al lavoro;
 nella retribuzione;
 nelle prestazione lavorativa e nella carriera;
 nell'accesso alle prestazioni previdenziali;
 nell'accesso agli impieghi pubblici;
 nell'arruolamento nelle forze armate e nei corpi speciali;
 nel reclutamento nelle Forze armate e nel Corpo della guardia di finanza;
 nelle carriere militari.

Inoltre, il decreto puntualizza che costituisce discriminazione ogni trattamento meno favorevole subito in ragione dello stato di gravidanza, di maternità o paternità.

Sebbene la rete normativa intessuta sembri garantire un sostegno effettivo alle donne, i dati, purtroppo, “parlano” diversamente, segnalando ancora ostacoli concreti all’abbattimento delle differenziazioni con il mondo maschile, soprattutto nell’accesso a ruoli lavorativi di prestigio.

Un rapporto della Banca d’Italia del giugno 2010, prendendo in esame i dati relativi al 2008, ha fotografato la realtà femminile nel mondo del lavoro, rilevando che le donne hanno meno opportunità di occupazione e stipendi più bassi, trovandosi in condizione di disparità rispetto agli uomini, non solo perché ancora maggiormente pressate dagli impegni familiari, ma anche perché sono spesso relegate in posizioni lavorative di basso livello, di retribuzione inferiore, incontrando più ostacoli di carriera pur essendo più preparate, e la situazione è ancora peggiore per le donne sposate e con figli.

E’ ancora necessario un forte impegno istituzionale e sociale affinché le disposizioni suggellate in codici e normative possano diventare realmente effettive.

Il tentativo di conciliazione presso le Direzioni Provinciali del Lavoro

Il “Collegato lavoro” (L. 4 novembre 2010, n. 183), tra le numerose novità e modifiche che ha apportato alla normativa del lavoro, ha cancellato il regime obbligatorio afferente il tentativo di conciliazione presso le Direzioni provinciali del lavoro, fatta eccezione per i rapporti di lavoro afferenti i contratti certificati previsti dal D.Lgs. n. 276/2003.

Prima dell’entrata in vigore della novella, infatti, il D.Lgs. n. 80/1998 stabiliva che l’azione in giudizio per la proposizione di una domanda relativa ai rapporti di lavoro indicati all’art. 409 del Codice di procedura Civile (rapporti di lavoro dipendente e di collaborazione coordinata e continuativa) doveva essere obbligatoriamente preceduta da un tentativo di conciliazione innanzi alle Commissioni di conciliazione appositamente create presso le Direzioni del lavoro oppure in sede sindacale, che costituiva condizione di procedibilità per l’eventuale e successiva azione innanzi al giudice.

Oggi, l’art. 31 del Collegato lavoro stabilisce, invece, che “chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'articolo 409 può promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione”, per cui il tentativo di conciliazione in questione diventa una mera possibilità per la risoluzione delle controversie, e le parti sono legittimate ad adire direttamente il giudice del lavoro.

In seguito all’abrogazione degli artt. 65-66 del T.U. del pubblico impiego (D.Lgs. n. 165/01) disciplinanti il “Tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie individuali” per il settore pubblico, la suindicata disposizione, inoltre, diventa valida non solo per i rapporti di lavoro privato ma anche per quelli pubblici, per cui la procedura dei tentativi di conciliazione diventa omogenea a prescindere dalla natura del datore di lavoro.

Solo nei casi di contratti certificati ex art. 75, D.Lgs. n. 276/03 (contratti di lavoro e di appalto – contatti in cui sia dedotta direttamente o indirettamente una prestazione di lavoro) il tentativo di conciliazione tra le parti resta obbligatorio.
Il Ministero del Lavoro è intervenuto celermente a fornire chiarimenti operativi nella gestione delle novità introdotte attraverso la Circolare n. 3428 del 25 novembre 2010.

La novella ha previsto che le Commissioni provinciali di conciliazione, istituite sempre presso la sede della Direzione provinciale del lavoro, saranno costituite da un presidente, nella persona del direttore dell'ufficio o di un suo delegato o da un magistrato collocato a riposo, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, non più a livello nazionale ma a livello territoriale.

L’entrata in vigore della norma ha indotto a procedere, quindi, alla costituzioni delle nuove commissioni, mentre quelle esistenti hanno continuato ad operare in regime di propogatio per quarantacinque giorni dalla cessazione, adottando solo gli atti di ordinaria amministrazione, ovvero quelli urgenti ed indefettibili.
Novità vengono introdotte anche per quanto riguarda la procedura da attivare per svolgere il tentativo di conciliazione, che diventa, rispetto al passato, maggiormente stringente nelle tempistiche da rispettare.

Innanzitutto, l’originale della richiesta di conciliazione, debitamente compilata e sottoscritta dalla parte proponente, deve essere consegnata a mano o spedita tramite raccomandata A/R o inviata tramite e-mail certificata, alla DPL e alla controparte, con l’esclusione, rispetto al passato, dell’invio della richiesta tramite fax.

Per quanto riguarda la delega a conciliare e a transigere non sono più ammissibili le autentiche rilasciate dagli addetti comunali o dall’avvocato che assiste il proprio cliente, ma sono valide solo quelle rilasciate davanti ad un notaio o ad un funzionario della DPL.

Dal momento in cui viene presentata la richiesta di conciliazione, che sospende il decorso della prescrizione e sospende il decorso di ogni termine di decadenza per la durata del tentativo di conciliazione e per i 20 giorni successivi, si attivano i seguenti termini:

- entro 20 giorni può aversi la presentazione della memoria di controparte;
- entro 10 giorni dal deposito della memoria di controparte, i funzionari della DPL a ciò deputati devono convocare le parti innanzi alla Commissione o sottocommissione
- il tentativo di conciliazione innanzi alla Commissione deve svolgersi entro un termine di 30 giorni dalla convocazione delle parti.

La nota del Ministero del Lavoro specifica che qualora vi sia il consenso del ricorrente, la conciliazione può attivarsi anche se l’intervento del convenuto sia giunto dopo il termine di 20 giorni. In ogni caso, se allo scadere dei venti giorni la controparte non abbia aderito al tentativo proposto, il ricorrente può adire il giudice.

In caso il tentativo di conciliazione abbia esito positivo, anche parziale, si redige processo verbale sottoscritto dalle parti e dalla Commissione, dichiarato esecutivo dal giudice, su istanza di parte. Qualora, invece, l’accordo non venga raggiunto, la Commissione formula una proposta conciliativa per la definizione della controversia che viene inserita obbligatoriamente nel verbale, dove sono indicate anche le posizioni tenute dalle parti.

Nel successivo giudizio, il giudice prenderà in considerazione il comportamento delle parti in sede di conciliazione, in particolar modo a fronte di un rifiuto della proposta formulata senza adeguata motivazione.

La Circolare del Ministero del Lavoro ha tenuto a precisare che le nuove Commissioni sono tenute ad operare per la trattazione delle nuove vertenze presentate dal 24 novembre 2010, a partire dal 10 gennaio 2011, sollecitando, inoltre, le DPL a ridistribuire nelle strutture territoriali le rispettive mansioni in seguito alla riduzione del carico di lavoro proprio in considerazione che il tentativo di conciliazione è diventato facoltativo.

lunedì 14 febbraio 2011

AZIENDE IN RITARDO CON IL VERSAMENTO DEI CONTRIBUTI PIANO DI RIENTRO DILAZIONE BREVE

Nell'ambito delle iniziative volte a semplificare le modalità di accesso ai servizi, l'INPS ha realizzato un'applicazione web che consente di richiedere on-line il versamento dei contributi dovuti mensilmente e per i quali non siano ancora state avviate le attività ordinarie di recupero del credito; questa nuova modalità di pagamento è rivolta esclusivamente alle aziende con dipendenti e riguarda i contributi in scadenza al 16 del mese per i quali l'UniEmens deve essere presentato entro la fine dello stesso mese.

L'applicazione prevede la possibilità dell'inserimento manuale dell'importo corrispondente al saldo dei contributi non versati alla prevista scadenza con il modello F24, e per il quale viene richiesto il pagamento dilazionato. Vi è da precisare che questa opzione può essere utilizzata per un massimo di due volte nel corso dell'anno solare e per un totale complessivo di quattro denunce mensili. Ciascuna domanda può comprendere, oltre l'importo relativo al versamento in scadenza, anche quelli relativi ai mesi precedenti, se ovviamente risultano disponibili per la dilazione.

La dilazione può essere richiesta per un numero massimo di sei rate ed il relativo pagamento deve concludersi entro la fine dell'anno solare. Ad esempio: i contributi dovuti per il mese di ottobre, potranno essere dilazionati in due mesi in quanto l'ultimo versamento deve avvenire entro la fine dell'anno solare (16 dicembre); pertanto, i contributi relativi al periodo di competenza novembre, con scadenza 16 dicembre, non potranno essere dilazionati.

La rata mensile, composta da una quota di contributi, sanzioni - ove dovute - ed interessi di dilazione, deve essere di importo non inferiore a 100 euro. Il versamento della prima delle rate così definite e accettate con l'atto di impegno dal contribuente, deve essere effettuato nella medesima data di presentazione dell'istanza di accesso al piano di rientro. Le rate successive alla prima dovranno essere versate entro il 16 di ogni mese, fino al termine delle rate definite nel piano stesso.

Il pagamento deve essere fatto tramite il modello F24, utilizzando la causale contributo «Prca» denominata «Aziende Dm - Dilazione on-line».

La regolarità dei versamenti è sottoposta a controllo mensile da parte degli uffici e il mancato pagamento delle rate previste alle rispettive scadenze comporterà la revoca del piano di rientro accordato e l'immediata trasmissione per il recupero dell'importo residuo all'Agente della riscossione.

INPS - OPERAZIONE POSEIDONE: CONTRIBUTI CO.CO.CO. PER IL 2007

Nell'ambito dell'operazione di verifica delle posizioni contributive denominata PoseidOne, iniziata nel corso del 2009, l'INPS ha proceduto a iscrivere d'ufficio, con decorrenza 1° gennaio 2007, alla Gestione separata i soggetti che hanno dichiarato redditi nel quadro RE del mod. UNICO PF anno 2008, periodo di imposta 2007, in assenza di contribuzione alla suddetta gestione. Contestualmente sono state inviate le lettere con la richiesta della contribuzione dovuta ai soggetti già iscritti alla Gestione separata, anche a seguito delle precedenti operazioni PoseidOne, per i quali sul reddito da attività professionale non risulta versata la contribuzione dovuta alla Gestione stessa.

Nell'anno 2007 dal giorno 7 novembre l'aliquota di contribuzione al fondo per le prestazioni temporanee della Gestione separata è passata da 0,50 a 0,72.

Pertanto nella tabella riepilogativa delle somme dovute all'INPS, inviata con la lettera agli interessati, i conteggi sono stati effettuati tenendo conto di questo aumento e sono esposti su due righe: nella prima è indicato il contributo calcolato applicando all'imponibile l'aliquota del 23,50% per dieci dodicesimi (gennaio-ottobre), nella seconda è indicato il contributo calcolato applicando all'imponibile l'aliquota del 23,72% per due dodicesimi (novembre-dicembre); analogo discorso vale per le sanzioni calcolate.

SOSTITUZIONI PER MATERNITÀ ANCHE IN CASO DI CONGEDO FLESSIBILE

Lo sgravio contributivo riconosciuto all'azienda che assume lavoratori in sostituzione di persone assenti per maternità è ammesso anche quando l'assunzione avviene con anticipo (fino ad un mese rispetto al periodo di inizio del congedo) salvo periodi superiori previsti dalla contrattazione collettiva. Per i rapporti di lavoro così instaurati per le aziende con meno di venti dipendenti è disposto uno sgravio contributivo nella misura del 50% della contribuzione dovuta. Secondo l'INPS lo sgravio può essere applicato anche nell'eventualità che la lavoratrice sostituita opti per la flessibilità del congedo e ne dia comunicazione al datore di lavoro anche quando sia già intervenuta l'assunzione del sostituto.

Per legge l'opzione per la flessibilità del congedo può legittimamente essere esercitata sino alla fine del settimo mese di gravidanza, ed entro tale mese deve essere presentato il certificato medico che attesta la compatibilità dell'avanzato stato di gravidanza con la permanenza al lavoro dal primo giorno dell'ottavo mese.

Le domande con certificazioni sanitarie con date successive alla fine del settimo mese sono respinte. In tali situazioni, l'assunzione originariamente intervenuta può far superare il periodo temporale di affiancamento previsto dalla norma, per l'INPS comunque lo sgravio contributivo è riconosciuto fino al compimento di un anno di età del figlio della lavoratrice o del lavoratore in congedo o per un anno dall'accoglienza del minore adottato o in affidamento.

RATEAZIONI AMMINISTRATIVE: NUOVO FORMAT PER IL «SI» DELL'INPS

Nuove regole INPS/Equitalia per le rateazioni amministrative, anche se resta sempre valido il principio secondo cui il regolare versamento della contribuzione corrente alla data di presentazione della domanda unitamente al riconoscimento incondizionato del debito richiesto in rateazione sono requisiti essenziali per la definizione con esito favorevole della stessa; ovviamente il requisito della regolarità della contribuzione corrente deve essere presente per tutta la durata della rateazione e, comunque, laddove la data di sottoscrizione del piano coincida con la scadenza mensile o periodica della contribuzione dovuta, affinché la rateazione possa essere concessa il contribuente dovrà fornire dimostrazione dell'avvenuto versamento sia della prima rata che della contribuzione corrente.

Irregolarità. In caso di irregolarità alla data di sottoscrizione ovvero in assenza della stessa sottoscrizione nel termine di 10 giorni dall'emissione della lettera di accoglimento, i crediti oggetto di dilazione sono richiesti dall'INPS con un avviso di addebito con valore di titolo esecutivo e con contestuale consegna all'Agente della riscossione per l'avvio delle attività di recupero coattivo.

Resta confermato che l'accertata irregolarità del versamento dei contributi correnti e/o il mancato versamento di due rate consecutive comporta la revoca della rateazione; in questa ipotesi il credito residuo verrà richiesto con l'avviso di addebito con valore di titolo esecutivo che verrà contestualmente consegnato all'Agente della riscossione, con la conseguenza che esso non potrà essere ulteriormente richiesto in rateazione all'Agente e dovrà essere pagato in unica soluzione, entro il termine di 60 giorni dalla notifica dell'avviso stesso.

Modello F24. Queste nuove modalità di gestione delle dilazioni trovano applicazione:

1) per le domande presentate a partire dal 1° gennaio 2011;

2) per quelle già definite con l'accoglimento anteriormente alla stessa data ed in attesa di essere gestite con le pregresse modalità.

Gli uffici INPS forniranno ai contribuenti, che abbiano sottoscritto piani di ammortamento che riportano le precedenti modalità di gestione delle rateazioni, le necessarie istruzioni affinché il versamento delle rate successive alla prima avvenga utilizzando il modello F24 secondo le nuove indicazioni.

Pagamento rate. Il contribuente di tutto ciò viene messo a conoscenza attraverso il nuovo modello di «accoglimento richiesta rateazione», nel quale è riportato il numero delle rate previsto dall'istituto, lo sviluppo per singola voce del debito, il relativo piano di ammortamento e la dichiarazione all'INPS che dovrà essere restituita firmata.

Le successive rate costanti saranno pagate ogni mese, entro 30 giorni dalla scadenza della prima rata, inserendo nel modello F24 i codici di riferimento già utilizzati per la prima (es.: RC01 per aziende con denuncia UniEmens; CD per commercianti; COC per committenti).

AUTOLIQUIDAZIONE INAIL IN FORMA RATEALE: I NUOVI TASSI DI INTERESSE 2011

È del 2,10% il tasso di interesse da applicare al premio INAIL relativo all'autoliquidazione 2010/2011; pertanto, per coloro che usufruiscono del pagamento rateale per l'autoliquidazione in scadenza al 16 febbraio 2011, i coefficienti da moltiplicare per gli importi della seconda, terza e quarta rata scadenti il 16 maggio, 16 agosto e 16 novembre del corrente anno, sono:

a) 0,0051205480 per la rata di maggio;

b) 0,0104136990 per quella di agosto;

c) 0,0157068490 per quella finale di novembre.

Per chi fruisce del pagamento rateale per l'autoliquidazione 2010/2011 in scadenza al 16 giugno 2011, fermo restando che a tale data deve essere stato effettuato il versamento del 50% di quanto dovuto a tale titolo, i coefficienti da moltiplicare per gli importi della terza e quarta rata, scadenti il 16 agosto e 16 novembre del corrente anno, sono:

a) 0,003095890 per la rata di agosto;

b) 0,008802740 per quella di novembre

PERMESSI MENSILI PER LA CURA DI DISABILI GRAVI: DICHIARAZIONI ENTRO IL 31 MARZO

Dal 24 novembre 2010 solo un lavoratore può assistere una persona in situazione di disabilità grave (legge n. 183/2010). L'INPS invierà ai soggetti interessati una lettera a cui essi devono rispondere comunicando entro il 31 marzo 2011 la dichiarazione attestante tale condizione e indicare nominativamente la persone scelta per l'assistenza.

Per quanto riguarda la natura delle patologie invalidanti il parente o affine di terzo grado, se interessato a fruire dei benefici in parola, dovrà allegare in busta chiusa indirizzata al Centro medico legale INPS territorialmente competente la documentazione sanitaria inerente lo stato di salute del coniuge o del genitore. Gli uffici dovranno riesaminare, alla luce del nuovo disposto normativo, le domande pervenute da parenti e affini di terzo grado dei soggetti in situazione di disabilità grave nonché quelle presentate da più familiari (a meno che non si tratti dei due genitori) per l'assistenza allo stesso soggetto con disabilità in situazione di gravità.

Gli operatori devono sospendere i provvedimenti in corso al giorno precedente la data di entrata in vigore della legge (24 novembre 2010) ed inviare agli interessati, a seconda dei casi, lettere specifiche, al fine di ricevere dichiarazioni atte a verificare la sussistenza dei requisiti previsti dalle nuove disposizioni normative per la concessione dei permessi mensili.

Se tali dichiarazioni non perverranno all'INPS entro il 31 marzo 2011, verrà inviata ai richiedenti i permessi la comunicazione di cessazione del provvedimento di autorizzazione al conguaglio (nel caso di pagamento a conguaglio della prestazione) ovvero di reiezione (nel caso di pagamento diretto della prestazione) con effetto dal 24 novembre 2010.

INCENTIVI ALLE AZIENDE PER ASSUMERE DISOCCUPATI IN SITUAZIONI PARTICOLARI

L'inps si occupa degli incentivi contributivi introdotti dalla legge n. 191/2009 per l'anno 2010 che intendono promuovere:

- l'assunzione di lavoratori disoccupati ultracinquantenni, titolari di indennità di disoccupazione non agricola con requisiti normali;

- l'assunzione o il mantenimento in servizio di lavoratori che abbiano almeno 35 anni di anzianità contributiva, per i quali siano scaduti gli incentivi connessi alla condizione di disoccupato del lavoratore;

- l'assunzione a tempo pieno e indeterminato di lavoratori disoccupati di qualunque età, titolari di indennità di disoccupazione ordinaria o del trattamento speciale di disoccupazione edile.

Gli incentivi sono previsti in via sperimentale per l'anno 2010, ma varranno anche per il 2011, ma occorrerà attendere un decreto ministeriale per la loro piena operatività.

La fruizione degli incentivi per il 2010 è subordinata alla condizione che il datore di lavoro:

- sia in regola con l'assolvimento degli obblighi contributivi;

- osservi le norme poste a tutela della sicurezza dei lavoratori;

- applichi gli accordi e i contratti collettivi nazionali nonché quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Il beneficio non spetta:

1) se l'assunzione/proroga/trasformazione è effettuata in ottemperanza di un preesistente obbligo derivante dalla legge, dal contratto collettivo, da un contratto individuale;

2) se tra il datore di lavoro che assume e l'impresa da cui proviene il lavoratore vi sia sostanziale coincidenza degli assetti proprietari ovvero intercorrano rapporti di collegamento o controllo; in tali casi il beneficio spetta comunque se l'assunzione avvenga dopo sei mesi dalla cessazione del precedente rapporto.

L'incentivo non spetta inoltre se il datore di lavoro che assume abbia:

1) effettuato licenziamenti per giustificato motivo oggettivo o per riduzione di personale nei sei mesi precedenti;

2) in atto sospensioni dal lavoro o riduzioni dell'orario di lavoro per crisi aziendale, ristrutturazione, riorganizzazione o riconversione aziendale.

In ogni caso l'incentivo compete se l'assunzione avvenga al fine di acquisire professionalità sostanzialmente diverse da quelle dei lavoratori interessati dai licenziamenti, dalle sospensioni o dalle riduzioni di orario.

Quando ricorrono le condizioni sopra descritte, al datore di lavoro spetta il beneficio della riduzione della quota di contribuzione a carico del datore di lavoro nella misura prevista dalla normativa vigente per gli apprendisti.

Allo scopo di accedere ai benefici, i datori di lavoro interessati dovranno presentare apposita domanda, contenente una dichiarazione di responsabilità in ordine alla sussistenza delle condizioni di legge. La domanda dovrà essere presentata esclusivamente in modalità telematica, avvalendosi dell'applicazione «DiResCo - Dichiarazioni di Responsabilità del Contribuente» disponibile presso il sito internet dell'Istituto www.inps.it, nella sezione dedicata ai servizi on-line offerti alle aziende. La legge riconosce anche il prolungamento della durata della riduzione contributiva, prevista dalla legge n. 223 del 1991, per chi assume lavoratori in mobilità, che abbiano almeno trentacinque anni di anzianità contributiva, fino alla data di maturazione del diritto al pensionamento e comunque non oltre la data del 31 dicembre 2010. L'incentivo spetta nell'ipotesi di prosecuzione del rapporto di lavoro con dipendenti già in forza; tale prosecuzione può essere attuata mediante:

a) il mero proseguimento, durante il 2010, del rapporto di lavoro, per il quale sono scadute - il 31 dicembre 2009 o nel corso del 2010 - le riduzioni contributive previste dalla legge n. 223/1991;

b) la proroga, nel corso del 2010, di un rapporto di lavoro a termine oltre i dodici mesi previsti dalla legge n. 223/1991

COMPATIBILITA’ E CUMULABILITA’ TRA CIG E LAVORO

Nonostante l’esistenza di molteplici benefici previdenziali, l’attenzione specifica dell’INPS è ricaduta sulla compatibilità e cumulabilità del trattamenti di integrazione salariale collegati alla CIG con redditi derivanti da altra attività lavorativa, sia essa attività dipendente o autonoma: questa particolare attenzione si giustifica con un rialzo esponenziale del ricorso alla Cassa Integrazione dovuta al periodo di crisi che si sta attraversando.

Nelle fattispecie i lavoratori in CIG si rendono conto che la situazione dell’azienda non è in realtà il preannuncio di una sua chiusura ma di un temporaneo periodo di crisi, e che possono guardarsi intorno per trovare una nuova occupazione. In merito l’INPS è intervenuto con la Circolare 107 del 5 agosto 2010 dettando istruzioni per i possibili casi di compatibilità e cumulabilità che potrebbero delinearsi nella realtà.

In passato la disciplina della CIG prevedeva la regola rigida del divieto di cumulo tra la prestazione previdenziale e il reddito derivante dalla nuova occupazione, e stabiliva che dalla data di inizio della nuova attività doveva essere sospeso il pagamento delle integrazioni salariali e ripristinato soltanto al termine dell’attività stessa.

Successivamente, soprattutto grazie all’intervento della giurisprudenza della Corte di Cassazione, si è stabilito che non si poteva sancire l’assoluta incompatibilità delle prestazioni integrative con il reddito proveniente dallo svolgimento di un’attività lavorativa autonoma o subordinata: in particolare si è affermato che non si poteva negare al dipendente in CIG di non lavorare e che in caso di lavoro con una retribuzione inferiore a quella spettante per la CIG, al lavoratore spettasse la relativa differenza fino al raggiungimento di quello che gli sarebbe spettato a titolo di CIG.

Le norme che disciplinano tale fattispecie derivano dal combinato disposto dell’art. 3 del D.Lgs. 788/1945, il quale stabilisce che l’integrazione salariale “non sarà corrisposta a quei lavoratori che durante le giornate di riduzione del lavoro si dedichino ad altre attività remunerate”, e dall’art. 8, comma 4, del D.L. n. 86/88, convertito in legge n. 160/1988 il quale dispone che “il lavoratore che svolga attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto al trattamento per le giornate di lavoro effettuate”.

Su tale fronte è intervenuta l’INPS con la Circolare n. 179 del 12 dicembre 2002 con cui ha sottolineato che dal combinato disposto delle due norme non veniva sancita un’assoluta incompatibilità tra le prestazioni integrative con il reddito derivante dallo svolgimento di attività lavorativa subordinata o autonoma.

Anche la giurisprudenza, intervenuta con la sentenza 12487 del 23/11/1992, definendo la portata di tali norme, ha chiarito che l’art. 3 del D.Lgs. 788/1945 si interpreta “nel senso che lo svolgimento di attività lavorativa remunerata, sia essa subordinata o autonoma, durante il periodo di sospensione del lavoro con diritto all’integrazione salariale comporta non la perdita del diritto all’integrazione per l’intero periodo predetto, ma solo una riduzione dell’integrazione medesima in proporzione ai proventi di quell’altra attività lavorativa”.

Resta ferma comunque la necessaria comunicazione preventiva resa dal lavoratore all’INPS circa lo svolgimento dell’attività secondaria al fine di evitare la decadenza dal diritto alle prestazioni per tutto il periodo della concessione.

Allo scopo di definire meglio il quadro, la Circolare dell’INPS n. 107 del 5 agosto 2010 pone in evidenza le circostanze in cui si può dar luogo:

1) All’incompatibilità tra la nuova attività lavorativa e l’integrazione salariale e alla conseguente cessazione del rapporto di lavoro su cui è fondata;
2) Alla totale cumulabilità della remunerazione collegata alla nuova attività con l’integrazione salariale;
3) Ad una parziale cumulabilità dei redditi da lavoro con l’integrazione salariale.

Per avere una panoramica sulla materia, data l’importanza, l’Istituto ha analizzato le varie situazioni che si possono riscontrare.

• Si ha incompatibilità nel caso in cui il lavoratore beneficiario dell’integrazione salariale abbia iniziato un nuovo rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato: in questo caso, come affrontato dalla giurisprudenza, il nuovo impegno a tempo pieno e senza prefissione di termine comporta la risoluzione del rapporto precedente e, quindi, la perdita del diritto al trattamento di integrazione salariale per cessazione del rapporto di lavoro che ne costituiva il fondamento.

• Si ha piena compatibilità tra attività di lavoro ed integrazione salariale, laddove la nuova attività di lavoro dipendente intrapresa , per la collocazione temporale in altre ore della giornata o in periodi diversi dell’anno, sarebbe stata comunque compatibile con l’attività lavorativa sospesa che ha dato luogo all’integrazione salariale; in tali casi l’integrazione è pienamente cumulabile con la remunerazione derivante dalla nuova attività lavorativa. Questa ipotesi ricorre nel caso in cui i due rapporti di lavoro siano part-time, sia orizzontale che verticale. Si può avere comunque compatibilità anche tra un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e uno part-time, purché le due attività siano tra loro compatibili nel limite massimo settimanale di lavoro.

• Riguardo la compatibilità tra l’integrazione e il lavoro accessorio la Circolare n. 75 del 26 maggio 2009 stabiliva che in via sperimentale per l’anno 2009, poi anche per il 2010, prestazioni di lavoro accessorio potevano essere rese, in tutti i settori produttivi e nel limite massimo di 3000 € per anno solare, da percettori di prestazioni integrative di salario o con sostegno al reddito. Il limite dei 3000 €, da intendersi al netto dei contributi previdenziali, è riferito al singolo lavoratore: tale limite andrà valutato in riferimento alle remunerazioni da lavoro accessorio che lo stesso percepisce nel corso dell’anno solare, sebbene legate a prestazioni effettuate nei confronti di diversi datori di lavoro; per il solo caso di emolumenti da lavoro accessorio che rientrano nel limite dei 3000 € annui, l’interessato non sarà obbligato a dare alcuna comunicazione all’Istituto. Le remunerazione che invece superino tale limite non sono integralmente cumulabili: ad esse dovrà essere applicata la disciplina ordinaria sulla compatibilità ed eventuale cumulabilità parziale della retribuzione. Il Decreto “milleproroghe” (D.L. 29.12.2010, n. 225) ha esteso fino al 31 marzo 2011 tale sperimentazione.

• In ipotesi differenti da quelle analizzate si potrà avere una cumulabilità parziale tra la remunerazione derivante da attività lavorativa e le integrazioni salariali: in via generale la CIG non è dovuta per le giornate nelle quali il lavoratore beneficiario si dedichi ad altre attività remunerate, di conseguenza il reddito derivante dalla nuova attività di lavoro non è normalmente cumulabile con l’integrazione salariale. In tali casi il trattamento di integrazione verrà sospeso per le giornate in cui è stata effettuata la nuova attività lavorativa. Qualora il lavoratore dimostri che il compenso per tale attività è inferiore all’integrazione stessa, avrà diritto ad una quota pari alla differenza tra l’intero importo dell’integrazione salariale spettante e il reddito percepito.

• Si ha cumulabilità parziale nel caso in cui il beneficiario dell’integrazione salariale stipuli un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato: se il reddito derivante dalla nuova attività lavorativa è inferiore all’integrazione salariale , sarà possibile il cumulo parziale della stessa con il reddito, fino a concorrenza dell’importo totale dell’integrazione spettante.

• Si ha altresì cumulabilità parziale tra le integrazioni salariali e il reddito da lavoro autonomo: in questo caso particolare non sussiste alcuna presunzione circa la possibile equivalenza tra il provento di tale attività e la misura dell’integrazione salariale cui il lavoratore avrebbe avuto diritto; spetterà al lavoratore dimostrare e documentare l’effettivo ammontare dei guadagni e la loro collocazione temporale al fine di consentire all’Istituto l’erogazione dell’eventuale quota differenziale di integrazione salariale: nel caso in cui non sia possibile tale determinazione l’Istituto deve sospendere l’erogazione delle integrazioni al momento della comunicazione preventiva.

Con riferimento alla contribuzione figurativa, ai fini della determinazione della retribuzione pensionabile, non si pongono determinati problemi per le situazioni relative alla compatibilità tra la nuova attività di lavoro e l’integrazione salariale, dato che la contribuzione per CIG e quella obbligatoria per l’attività effettivamente prestata si riferiscono a periodi temporalmente non coincidenti o comunque non sovrapposti.

Nel caso di cumulabilità parziale invece, e quindi quando il trattamento integrativo viene proporzionalmente ridotto a seguito dello svolgimento di una nuova attività di lavoro, i contributi figurativi devono essere riconosciuti con riferimento alla differenza tra la retribuzione presa a base per il calcolo dell’integrazione salariale e la retribuzione percepita in relazione alla nuova attività lavorativa svolta.