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UFFICIO DEL PERSONALE

martedì 15 febbraio 2011

LA TUTELA DEL LAVORO FEMMINILE

Le donne da sempre lottano per affermare una posizione uguale rispetto al cosiddetto “sesso forte”, in particolar modo nel mondo del lavoro.
Tralasciando i controversi profili sociali di una così annosa e profonda questione, se si fa riferimento allo spettro normativo, incardinato sul fondamentale principio di uguaglianza consacrato nella Costituzione, si evince che il tenore delle disposizioni è volto a tutelare le donne non solo da fattispecie concrete, quanto piuttosto dalla “discriminazione”. Dagli anni Sessanta, infatti, sono state emanate norme volte ad affermare parità di trattamento economico, parità salariale nei settori dell’industria e dell’agricoltura, parità nell’accesso ai pubblici uffici, ovviamente parità rispetto agli uomini.
Il principio generale della parità dei diritti viene suggellato nel nostro ordinamento con la legge n. 903/1977, appellata “Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”, attraverso la quale si è cercato di predisporre degli strumenti concretamente idonei a contrastare le discriminazioni, sostenuto da una giurisprudenza che ha stabilito “tollerabili”, a parità di mansioni, differenziazioni di trattamento tra i sessi solo se “giustificate e ragionevoli” (Cort. Cost., sent. 9/03/1989, n. 103).
Nel 1984 è stata costituita presso la Presidenza del Consiglio la Commissione nazionale per le pari opportunità, formata da 30 donne in rappresentanza di associazioni e movimenti.
Contestualmente, il Legislatore ha ritenuto necessario intervenire al fine di rendere possibile una conciliazione tra attività lavorativa ed esigenze della vita privata di una donna, attraverso disposizioni riguardanti la maternità, come il D.Lgs. n. 645/1996 riguardante la tutela, la salute e la sicurezza delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, che hanno trovato una riorganizzazione sistematica attraverso il D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53”, incentrata sulla disciplina dei “congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessi alla maternità e paternità di figli naturali, adottivi e in affidamento, nonché il sostegno economico alla maternità e alla paternità” (art. 1).
Nel contesto comunitario le prime direttive in materia di parità di trattamento tra uomini e donne vengono emanante a metà degli anni Settanta:
 Dir. 75/117/CEE del 10 febbraio 1975). Direttiva del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile;
 Dir. 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE. Direttiva del Consiglio relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro), seguite, nel corso del tempo, da una serie di disposizioni che negli ultimi anni sono state riunite e riordinate in un unico testo, come la Dir. n. 2006/54/CE, la quale eleva a principio fondamentale la parità di opportunità tra uomini e donne, ribadendo la parità retributiva di uno stesso lavoro o di un lavoro al quale è attribuito un valore uguale; la parità di trattamento nell’accesso al lavoro, alla formazione, alla promozione professionale, alle condizioni di lavoro; la tutela dei diritti delle lavoratrici in congedo per maternità, nonché dei genitori in congedo parentale e/o di adozione.
L’ordinamento italiano ha recepito la direttiva europea emanando il “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna” (D.Lgs. n. 198/06) volte ad eliminare ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso avente come risultato quello "di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o l'esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo" (art. 1).
La norma, in particolare, vieta qualsiasi tipo di discriminazione:
 nell'accesso al lavoro;
 nella retribuzione;
 nelle prestazione lavorativa e nella carriera;
 nell'accesso alle prestazioni previdenziali;
 nell'accesso agli impieghi pubblici;
 nell'arruolamento nelle forze armate e nei corpi speciali;
 nel reclutamento nelle Forze armate e nel Corpo della guardia di finanza;
 nelle carriere militari.

Inoltre, il decreto puntualizza che costituisce discriminazione ogni trattamento meno favorevole subito in ragione dello stato di gravidanza, di maternità o paternità.

Sebbene la rete normativa intessuta sembri garantire un sostegno effettivo alle donne, i dati, purtroppo, “parlano” diversamente, segnalando ancora ostacoli concreti all’abbattimento delle differenziazioni con il mondo maschile, soprattutto nell’accesso a ruoli lavorativi di prestigio.

Un rapporto della Banca d’Italia del giugno 2010, prendendo in esame i dati relativi al 2008, ha fotografato la realtà femminile nel mondo del lavoro, rilevando che le donne hanno meno opportunità di occupazione e stipendi più bassi, trovandosi in condizione di disparità rispetto agli uomini, non solo perché ancora maggiormente pressate dagli impegni familiari, ma anche perché sono spesso relegate in posizioni lavorative di basso livello, di retribuzione inferiore, incontrando più ostacoli di carriera pur essendo più preparate, e la situazione è ancora peggiore per le donne sposate e con figli.

E’ ancora necessario un forte impegno istituzionale e sociale affinché le disposizioni suggellate in codici e normative possano diventare realmente effettive.

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