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UFFICIO DEL PERSONALE

lunedì 14 febbraio 2011

COMPATIBILITA’ E CUMULABILITA’ TRA CIG E LAVORO

Nonostante l’esistenza di molteplici benefici previdenziali, l’attenzione specifica dell’INPS è ricaduta sulla compatibilità e cumulabilità del trattamenti di integrazione salariale collegati alla CIG con redditi derivanti da altra attività lavorativa, sia essa attività dipendente o autonoma: questa particolare attenzione si giustifica con un rialzo esponenziale del ricorso alla Cassa Integrazione dovuta al periodo di crisi che si sta attraversando.

Nelle fattispecie i lavoratori in CIG si rendono conto che la situazione dell’azienda non è in realtà il preannuncio di una sua chiusura ma di un temporaneo periodo di crisi, e che possono guardarsi intorno per trovare una nuova occupazione. In merito l’INPS è intervenuto con la Circolare 107 del 5 agosto 2010 dettando istruzioni per i possibili casi di compatibilità e cumulabilità che potrebbero delinearsi nella realtà.

In passato la disciplina della CIG prevedeva la regola rigida del divieto di cumulo tra la prestazione previdenziale e il reddito derivante dalla nuova occupazione, e stabiliva che dalla data di inizio della nuova attività doveva essere sospeso il pagamento delle integrazioni salariali e ripristinato soltanto al termine dell’attività stessa.

Successivamente, soprattutto grazie all’intervento della giurisprudenza della Corte di Cassazione, si è stabilito che non si poteva sancire l’assoluta incompatibilità delle prestazioni integrative con il reddito proveniente dallo svolgimento di un’attività lavorativa autonoma o subordinata: in particolare si è affermato che non si poteva negare al dipendente in CIG di non lavorare e che in caso di lavoro con una retribuzione inferiore a quella spettante per la CIG, al lavoratore spettasse la relativa differenza fino al raggiungimento di quello che gli sarebbe spettato a titolo di CIG.

Le norme che disciplinano tale fattispecie derivano dal combinato disposto dell’art. 3 del D.Lgs. 788/1945, il quale stabilisce che l’integrazione salariale “non sarà corrisposta a quei lavoratori che durante le giornate di riduzione del lavoro si dedichino ad altre attività remunerate”, e dall’art. 8, comma 4, del D.L. n. 86/88, convertito in legge n. 160/1988 il quale dispone che “il lavoratore che svolga attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto al trattamento per le giornate di lavoro effettuate”.

Su tale fronte è intervenuta l’INPS con la Circolare n. 179 del 12 dicembre 2002 con cui ha sottolineato che dal combinato disposto delle due norme non veniva sancita un’assoluta incompatibilità tra le prestazioni integrative con il reddito derivante dallo svolgimento di attività lavorativa subordinata o autonoma.

Anche la giurisprudenza, intervenuta con la sentenza 12487 del 23/11/1992, definendo la portata di tali norme, ha chiarito che l’art. 3 del D.Lgs. 788/1945 si interpreta “nel senso che lo svolgimento di attività lavorativa remunerata, sia essa subordinata o autonoma, durante il periodo di sospensione del lavoro con diritto all’integrazione salariale comporta non la perdita del diritto all’integrazione per l’intero periodo predetto, ma solo una riduzione dell’integrazione medesima in proporzione ai proventi di quell’altra attività lavorativa”.

Resta ferma comunque la necessaria comunicazione preventiva resa dal lavoratore all’INPS circa lo svolgimento dell’attività secondaria al fine di evitare la decadenza dal diritto alle prestazioni per tutto il periodo della concessione.

Allo scopo di definire meglio il quadro, la Circolare dell’INPS n. 107 del 5 agosto 2010 pone in evidenza le circostanze in cui si può dar luogo:

1) All’incompatibilità tra la nuova attività lavorativa e l’integrazione salariale e alla conseguente cessazione del rapporto di lavoro su cui è fondata;
2) Alla totale cumulabilità della remunerazione collegata alla nuova attività con l’integrazione salariale;
3) Ad una parziale cumulabilità dei redditi da lavoro con l’integrazione salariale.

Per avere una panoramica sulla materia, data l’importanza, l’Istituto ha analizzato le varie situazioni che si possono riscontrare.

• Si ha incompatibilità nel caso in cui il lavoratore beneficiario dell’integrazione salariale abbia iniziato un nuovo rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato: in questo caso, come affrontato dalla giurisprudenza, il nuovo impegno a tempo pieno e senza prefissione di termine comporta la risoluzione del rapporto precedente e, quindi, la perdita del diritto al trattamento di integrazione salariale per cessazione del rapporto di lavoro che ne costituiva il fondamento.

• Si ha piena compatibilità tra attività di lavoro ed integrazione salariale, laddove la nuova attività di lavoro dipendente intrapresa , per la collocazione temporale in altre ore della giornata o in periodi diversi dell’anno, sarebbe stata comunque compatibile con l’attività lavorativa sospesa che ha dato luogo all’integrazione salariale; in tali casi l’integrazione è pienamente cumulabile con la remunerazione derivante dalla nuova attività lavorativa. Questa ipotesi ricorre nel caso in cui i due rapporti di lavoro siano part-time, sia orizzontale che verticale. Si può avere comunque compatibilità anche tra un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e uno part-time, purché le due attività siano tra loro compatibili nel limite massimo settimanale di lavoro.

• Riguardo la compatibilità tra l’integrazione e il lavoro accessorio la Circolare n. 75 del 26 maggio 2009 stabiliva che in via sperimentale per l’anno 2009, poi anche per il 2010, prestazioni di lavoro accessorio potevano essere rese, in tutti i settori produttivi e nel limite massimo di 3000 € per anno solare, da percettori di prestazioni integrative di salario o con sostegno al reddito. Il limite dei 3000 €, da intendersi al netto dei contributi previdenziali, è riferito al singolo lavoratore: tale limite andrà valutato in riferimento alle remunerazioni da lavoro accessorio che lo stesso percepisce nel corso dell’anno solare, sebbene legate a prestazioni effettuate nei confronti di diversi datori di lavoro; per il solo caso di emolumenti da lavoro accessorio che rientrano nel limite dei 3000 € annui, l’interessato non sarà obbligato a dare alcuna comunicazione all’Istituto. Le remunerazione che invece superino tale limite non sono integralmente cumulabili: ad esse dovrà essere applicata la disciplina ordinaria sulla compatibilità ed eventuale cumulabilità parziale della retribuzione. Il Decreto “milleproroghe” (D.L. 29.12.2010, n. 225) ha esteso fino al 31 marzo 2011 tale sperimentazione.

• In ipotesi differenti da quelle analizzate si potrà avere una cumulabilità parziale tra la remunerazione derivante da attività lavorativa e le integrazioni salariali: in via generale la CIG non è dovuta per le giornate nelle quali il lavoratore beneficiario si dedichi ad altre attività remunerate, di conseguenza il reddito derivante dalla nuova attività di lavoro non è normalmente cumulabile con l’integrazione salariale. In tali casi il trattamento di integrazione verrà sospeso per le giornate in cui è stata effettuata la nuova attività lavorativa. Qualora il lavoratore dimostri che il compenso per tale attività è inferiore all’integrazione stessa, avrà diritto ad una quota pari alla differenza tra l’intero importo dell’integrazione salariale spettante e il reddito percepito.

• Si ha cumulabilità parziale nel caso in cui il beneficiario dell’integrazione salariale stipuli un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato: se il reddito derivante dalla nuova attività lavorativa è inferiore all’integrazione salariale , sarà possibile il cumulo parziale della stessa con il reddito, fino a concorrenza dell’importo totale dell’integrazione spettante.

• Si ha altresì cumulabilità parziale tra le integrazioni salariali e il reddito da lavoro autonomo: in questo caso particolare non sussiste alcuna presunzione circa la possibile equivalenza tra il provento di tale attività e la misura dell’integrazione salariale cui il lavoratore avrebbe avuto diritto; spetterà al lavoratore dimostrare e documentare l’effettivo ammontare dei guadagni e la loro collocazione temporale al fine di consentire all’Istituto l’erogazione dell’eventuale quota differenziale di integrazione salariale: nel caso in cui non sia possibile tale determinazione l’Istituto deve sospendere l’erogazione delle integrazioni al momento della comunicazione preventiva.

Con riferimento alla contribuzione figurativa, ai fini della determinazione della retribuzione pensionabile, non si pongono determinati problemi per le situazioni relative alla compatibilità tra la nuova attività di lavoro e l’integrazione salariale, dato che la contribuzione per CIG e quella obbligatoria per l’attività effettivamente prestata si riferiscono a periodi temporalmente non coincidenti o comunque non sovrapposti.

Nel caso di cumulabilità parziale invece, e quindi quando il trattamento integrativo viene proporzionalmente ridotto a seguito dello svolgimento di una nuova attività di lavoro, i contributi figurativi devono essere riconosciuti con riferimento alla differenza tra la retribuzione presa a base per il calcolo dell’integrazione salariale e la retribuzione percepita in relazione alla nuova attività lavorativa svolta.

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