Cerca nel blog

UFFICIO DEL PERSONALE

lunedì 20 febbraio 2012

MODELLI 730-4 SCADE IL 31 MARCO LA COMUNICAZIONE PER LA RICEZIONE TELEMATICA


Con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate del 2 febbraio 2012 - pubblicato sul sito Internet della stessa Agenzia in data 8 febbraio 2012 - è stato approvato il modello di «Comunicazione per la ricezione in via telematica dei dati relativi ai mod. 730-4 resi disponibili dall'Agenzia delle entrate», con le relative istruzioni e specifiche tecniche per la trasmissione dei dati.

Essendosi ormai conclusa positivamente la fase di avvio graduale resa necessaria per assicurare la corretta e tempestiva comunicazione dei dati tra i soggetti interessati ed un monitoraggio delle eventuali criticità emergenti nella fase di avvio, quest'anno la comunicazione, da presentare entro il prossimo 31 marzo 2012, vede coinvolti tutti i sostituti d'imposta, i quali dovranno rendere nota la sede telematica presso cui intendono ricevere i dati contabili delle dichiarazioni presentate dai propri dipendenti.

Resta fermo che, in assenza di variazioni dei dati forniti, i sostituti che hanno già ricevuto lo scorso anno i modelli 730-4 in via telematica dall'Agenzia delle entrate non devono presentare alcuna comunicazione.

Il provvedimento stabilisce che l'Agenzia delle entrate, nei casi di impossibilità di rendere disponibili i modelli 730-4, li restituisce ai soggetti che hanno prestato l'assistenza fiscale, i quali provvederanno autonomamente a trasmetterli ai sostituti d'imposta.

lunedì 13 febbraio 2012

Liberalizzazione delle attività economiche e riduzione degli oneri amministrativi sulle imposte


La norma dispone, salvo che per alcune specifiche attività, l'abrogazione dei limiti numerici, autorizzazioni, licenze, nulla osta o preventivi atti di assenso, per l'avvio di un'attività economica, non giustificati da un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l'ordinamento comunitario.

(D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 1)

Pubblicato il decreto liberalizzazioni


Nella G.U. n. 19 del 24 gennaio 2012, supp. ord. n. 18, è stato pubblicato il D.L. n. 1 del 24 gennaio 2012, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività».

Il decreto, composto di ben 98 articoli, contiene un pacchetto di riforme strutturali per la crescita con le quali il Governo Monti intende rimuovere due grandi vincoli che hanno compresso per decenni il potenziale di crescita dell'Italia: l'insufficiente concorrenza dei mercati e l'inadeguatezza delle infrastrutture.

D.L. 24 gennaio 2012, n. 1

giovedì 9 febbraio 2012

PER LA CASSAZIONE SE IL COSTO È SOSTENUTO L'OPERAZIONE NON È INESISTENTE

Non c'è evasione se in dichiarazione si utilizzano documenti soggettivamente falsi: la Cassazione (Sent. n. 41444 del 14 novembre 2011) ha stabilito che non sussiste il reato di dichiarazione fraudolenta e non scatta il sequestro sui conti dell?imprenditore in caso di fatture soggettivamente false, rispondenti cioè ad operazioni commerciali reali ma fra soggetti diversi
--------------------------------------------------------------------------------
DICHIARAZIONE INFEDELE
DICHIARAZIONE OMESSA
FATTURE OGGETTIVAMENTE INESISTENTI E FATTURE SOGGETTIVAMENTE INESISTENTI LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE N. 41444 DEPOSITATA IL 17 NOVEMBRE 2011 CONCLUSIONI

Il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, disciplina le ipotesi di reati penali che possono essere commessi da imprenditori e professionisti nell'esercizio delle proprie attività. In particolare l'art. 2 (1) «Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti» del citato decreto, al comma primo prevede «... è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi ...».

Il secondo comma del medesimo articolo individua il fatto del reato penale che si concretizza «... avvalendosi di fatture (2) o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell'Amministrazione finanziaria ...».

 DICHIARAZIONE INFEDELE

 Le soglie di punibilità sono elencate dal successivo art. 4 (3) del medesimo decreto legislativo che riconducono, se non superate, la violazione a «dichiarazione infedele».

E difatti, fuori dei casi previsti dagli artt. 2 e 3 del medesimo decreto è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente:

a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro cinquantamila (per «imposta evasa» si intende la differenza tra l'imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l'intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine);

b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al 10% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro 2 milioni.

Per «elementi attivi o passivi» si intendono le componenti, espresse in cifra, che concorrono, in senso positivo o negativo, alla determinazione del reddito o delle basi imponibili rilevanti ai fini dell'applicazione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto. DICHIARAZIONE OMESSA L'art. 5 del medesimo decreto codificato quale «Dichiarazione omessa» sanziona con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro 30.000.

Ai fini della disposizione non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.

FATTURE OGGETTIVAMENTE INESISTENTI E FATTURE SOGGETTIVAMENTE INESISTENTI

Prima di esaminare la sentenza, è opportuno ricordare che la falsità delle fatture può avere carattere «oggettivo», quando riguarda operazioni assolutamente inesistenti, o «soggettivo», nel caso le operazioni siano compiute tra soggetti diversi da quelli tra cui è intercorsa la fatturazione.

La prima ipotesi di «fattura oggettivamente inesistente» riguarda l'ipotesi di mancanza assoluta dell'operazione fatturata, e generalmente viene messa in atto dalle cd. «cartiere».

Secondo l'accezione generale le cosiddette «cartiere» sono le imprese esistenti solo sotto il profilo formale (in quanto titolari di partita IVA, vera o falsa, ed eventualmente iscritte alla Camera di commercio), ma non sotto il profilo sostanziale in quanto non svolgono alcuna attività commerciale, ma si limitano a rilasciare a terzi «fatture» per forniture di beni o per prestazioni di servizi in realtà mai eseguiti, mancando la struttura operativa idonea a produrli, a fornirli o a prestarli. Trattasi, in sostanza, di soggetti del tutto sprovvisti di quei fattori produttivi necessari per l'esecuzione dell'operazione commerciale documentata in fattura (quali beni strumentali e/o personale, Cass. n. 735/2010, n. 27574/2008, n. 1950/2007).

In tali circostanze, chi si avvantaggia di documenti «oggettivamente» fittizi non può invocare estraneità all'accordo fraudolento se non dimostra di essere stata reale controparte del rapporto riguardante l'operazione fatturata (4). In tali casi il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di operazioni inesistenti è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla (sola) inesistenza oggettiva, ovvero quella relativa alla diversità totale o parziale tra costi indicati e costi sostenuti (Cass., sez. III, 16 marzo 2010, n. 10394).

Di diversa natura si configurano «le fatture soggettivamente inesistenti» che si concretizzano qualora le operazioni, realmente avvenute, siano compiute tra soggetti diversi da quelli che hanno documentato l'operazione, ovvero quando gli acquisti di beni o servizi sono avvenuti «a nero» presso altri soggetti, diversi dalle società compiacenti che hanno emesso le fatture.

Quindi, cessione e/o prestazione realmente avvenuta ma l'emittente (prestatore o cedente) non è colui che, effettivamente, ha realizzato l'operazione; è fittizio pertanto solo il soggetto cedente ma non l'operazione. La Sent. n. 41444 emessa dalla Sezione Penale della Corte di Cassazione e depositata il 14 novembre scorso si occupa di una ipotesi di fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti.

Secondo i Giudici del Supremo Collegio, l'utilizzo in dichiarazione ai fini delle imposte dirette di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti non integra violazione penale in quanto sarebbe assente evasione d'imposta, avendo il contribuente effettivamente sostenuto il costo indicato nei documenti ancorché emessi da soggetti differenti.

LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE N. 41444 DEPOSITATA IL 17 NOVEMBRE 2011

Il fatto

Al rappresentante legale di una società venivano contestati i reati di cui all'art. 2 ed all'art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000 e quindi la presentazione di dichiarazione fraudolenta mediante l'uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

La Procura competente sottoponeva a sequestro preventivo conti bancari e/o postali, depositi a risparmio, dossier titoli e cassette di sicurezza presso tutti i soggetti operanti nel territorio nazionale nel settore della raccolta e gestione del risparmio ed intermediazione finanziaria intestati al rappresentante legale, per un importo pari all'imposta evasa, compresa di sanzioni ed interessi.

Il Procuratore della Repubblica sosteneva che i costi indicati dalla società indagata, effettuati con pagamenti in contanti, non potevano essere presi in considerazione non essendo né veritieri né attendibili. Ciò che veniva censurato dall'accusa era l'aver ritenuto - dal Tribunale di merito - la «certezza» dei costi indicati in ciascun fattura soggettivamente falsa, laddove sarebbe stato plausibile che l'acquisto veniva effettuato a costi inferiori a quelli dichiarati.

La decisione I Giudici della Corte di Cassazione, cui si rivolgeva il P.M., confermavano in pieno la sentenza emessa dal Tribunale di merito. E difatti, precisano i Giudici «... dalla complessa attività investigativa era emerso che la società, pur avendo ricevuto fatture ... inerenti quantitativi di rottami metallici e cascami non compatibili con le capacità imprenditoriali di questi ultimi, aveva realmente movimentato i quantitativi di merce sottesi alle operazioni fatturate posto che dall'analisi contabile sui beni oggetto di intermediazione non era stata riscontrata alcuna sostanziale difformità tra quanto entrato e quanto uscito dalla ditta.

Tale circostanza - secondo il Tribunale - evidenziava che si era trattato di operazioni poste in essere realmente - e quindi non oggettivamente fittizie - ma tra soggetti diversi da quelli indicati nelle fatture. I Giudici di legittimità, pertanto, chiariscono che con riguardo alle imposte dirette il reato sussiste solo in presenza di fatture oggettivamente - e non soggettivamente - inesistenti.

Tale principio è già stato espresso da Cassazione Penale, sez. III, Sent. 26 novembre 2008 - 23 gennaio 2009, secondo cui la definizione di operazione soggettivamente inesistente ai fini dell'applicazione della disciplina sanzionatoria penale corrisponde all'operazione obiettivamente non intercorsa fra i soggetti indicati nella fattura o in altro documento equipollente, ed è dunque irrilevante, sotto tale profilo, l'utilizzazione del bene o della prestazione da parte di un soggetto terzo potendo tale circostanza assumere valenza per l'eventuale esclusione del requisito di inerenza del costo sostenuto dal committente. Infine, relativamente all'omessa presentazione della dichiarazione, la sentenza, utilizzando le risultanze delle indagini investigative del Tribunale, certificava il mancato superamento delle soglie di punibilità (euro 77.468,53, soglia vigente all'epoca dei fatti) dovendosi computare ai fini del calcolo dell'imposta evasa anche i costi effettivi sostenuti dalla società, utili a determinare il reddito imponibile su cui applicare l'aliquota IRES, e quindi anche le somme corrispondenti alle fatture indiziate poiché afferenti a componenti negativi di reddito sostenuti e non fittizi.

CONCLUSIONI

Non di rado numerosi accertamenti vedono coinvolte imprese estranee al particolare meccanismo fraudolento messo in atto da imprese senza scrupolo che dopo qualche anno, si scoprono evasori fiscali. Già con altre sentenze, infatti, la Suprema Corte, al fine di non penalizzare gli acquirenti in buona fede (Sent. n. 8132/2011), ha fornito anche alcuni elementi su cui valutare la cosiddetta ignoranza incolpevole e quindi l'estraneità alla frode (5).

NOTE --------------------------------------------------------------------------------

(1) Modificato dal D.L. 13 agosto 2011, n. 13, art. 2.

(2) Per «fatture o altri documenti per operazioni inesistenti» si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi.

(3) Si veda nota 1.

(4) C. Cass. n. 2847 del 7 febbraio 2008, che ha rigettato il ricorso presentato da una società utilizzatrice che addiceva la propria buona fede, ovvero il non avere partecipato agli accordi fraudolenti. A giudizio della Corte, ove le fatture risultino non solo «soggettivamente» ma anche «oggettivamente» fittizie, sia la mancata conoscenza dell'illegalità degli accordi esistenti tra le «altre» società interessate alle vendite, che la correttezza formale della contabilità del soggetto passivo non possono «costituire un comodo alibi per giustificare una violazione fiscale».

Conseguentemente, per i giudici, la società ricorrente avrebbe dovuto provare, per contrastare i dati in possesso dell'Amministrazione, l'esistenza dei fatti dai quali scaturiva l'effettività del proprio diritto, «quali ad esempio le ricevute dei pagamenti e/o il contratto sottostante alle prestazioni fatturate»; solo così avrebbe potuto dimostrare di essere stata «reale controparte del rapporto riguardante l'operazione fatturata».

La Cassazione è giunta alla conclusione secondo cui, in tema di fatture afferenti a operazioni economiche inesistenti, l'infrazione fiscale si configura per il solo fatto oggettivo che il contribuente con il proprio comportamento (doloso o colposo che sia) abbia determinato il rischio per l'Amministrazione di non conseguire il pagamento dell'imposta effettivamente dovuta; pertanto, è irrilevante, agli effetti dell'iter decisionale della controversia fiscale, che il contribuente abbia asserito di essere in buona fede e di non avere partecipato agli accordi fraudolenti con le altre società. (http://www.andrenacci.net/area-aziende/agevolazioni-alle-aziende/61-fatture-per-operazioni-nesistenti.html).

(5) Assenza di elementi da cui presupporre la provenienza fittizia delle fatture, ovvero il fatto di non aver tratto alcun beneficio dalla frodi. A. Iorio, «Più tutele contro le frodi carosello», in Il Sole 24 Ore, 4 maggio 2011. (D.Lgs. n. 74/2000, art. 2) (Cass., Sent. n. 27574/2008) (Cass., Sent. n. 1950/2007)

di Attilio Romano

Redditometro: per la cassazione onere della prova a carico del contribuente

REDDITOMETRO: PER LA CASSAZIONE RIENTRA TRA LE PRESUNZIONI LEGALI RELATIVE

La Cassazione, a pochi mesi dalla Sent. n. 13289/2011 che aveva sancito l'inquadramento tra le presunzioni semplici del redditometro, torna sui propri passi, ponendo a carico del contribuente l'onere di dimostrare in concreto che il proprio reddito effettivo è diverso ed inferiore a quello scaturente dalle presunzioni adottate dall'Ufficio
--------------------------------------------------------------------------------
ANALISI DELL'ORIENTAMENTO PRO-CONTRIBUENTE
IL PRECEDENTE GIURISPRUDENZIALE «A FAVORE» DELLA PRESUNZIONE SEMPLICE CONSIDERAZIONI FINALI

In tema di accertamento sintetico da cd. redditometro, la Suprema Corte approda - a distanza di pochi mesi dall'ultima pronuncia (1) - ad un «nuovo cambio di rotta» sull'argomento, ovvero questa tipologia di «verifica» fiscale non deve basarsi sui medesimi parametri applicati all'interno dell'accertamento da studio di settore, ossia su presunzioni semplici (caratterizzate dalla gravità, precisione e concordanza, art. 2729 c.c.) (2), bensì sulle cd. presunzioni legali relative (Cass. n. 27545/2011).

ANALISI DELL'ORIENTAMENTO PRO-CONTRIBUENTE

Ebbene, la precedente sentenza della Corte di Cassazione (n. 13289/2011) era contraddistinta dalla seguente ratio (del tutto condivisibile):

il redditometro - in particolare il meccanismo operante all'interno di tale accertamento - viene configurato come un qualsiasi strumento da «coefficiente» (come ad esempio lo studio di settore), alla stregua di una tipica verifica fiscale standardizzata.

Si tratta - invero - di una vera e propria equiparazione (in relazione agli oneri probatori posti a carico dell'Amministrazione finanziaria) tra lo studio di settore e il redditometro (tale affiancamento cd. metodologico tra i due accertamenti era già stato introdotto all'interno della Relazione n. 94 del 9 luglio 2009 dell'Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione).

In particolare, gli elementi della gravità, della precisione e della concordanza (requisiti imprescindibili all'interno delle presunzioni semplici) devono essere rafforzati - secondo il precedente orientamento - all'esito del contraddittorio instaurato tra il Fisco ed il contribuente (divenuto obbligatorio nel nuovo accertamento sintetico modificato dal D.L. n. 78/2010)

(3). A ben vedere, tale corrente di pensiero («temporaneamente» archiviata con l'ordinanza in parola) intendeva rimarcare lo «spirito» della citata riforma del 2010, ovvero l'intervenuta obbligatorietà di introdurre il confronto tra le parti prima della notifica dell'avviso di accertamento.

In precedenza - ossia prima della riforma del 2010 - il redditometro trovava la propria «cittadinanza fiscale» su una presunzione legale relativa, la quale determinava un'inversione dell'onere probatorio proprio a carico del contribuente, come del resto aveva stabilito in modo costante la Corte di Cassazione in numerose sentenze (fino al 31 maggio 2010).

Ad ogni buon conto, la summenzionata modifica legislativa aveva l'obiettivo (non espressamente dichiarato) di «esaurire» la ragion d'essere delle presunzioni legali applicati all'accertamento redditometrico (principio in realtà non negoziabile nella vecchia impostazione).

Pertanto, su siffatta questione, l'orientamento giurisprudenziale maggioritario aveva aderito a tale interpretazione, ossia con l'instaurazione del contraddittorio, l'Ufficio non avrebbe più potuto trincerarsi dietro la sussistenza di tale elemento «indiziario» a sostegno del proprio «impianto accusatorio» (rectius: presuntivo legale).

Con il «confronto diretto» tra il Fisco ed il contribuente si assiste, in senso proprio, alla nascita di uno strumento, avente ad oggetto la funzione di adattare le presunzioni dell'Ufficio alla reale situazione reddituale/economica imputabile effettivamente al contribuente.

Difatti, la Cassazione aveva stabilito che il «risultato dello standard, dato dal redditometro, deve essere corretto nel corso del contraddittorio, in modo da fotografare la reale e specifica situazione del contribuente (4)».

La presenza del contraddittorio costituisce quindi un tassello fondamentale per gli accertamenti standardizzati, per i quali la caratteristica comune risulta essere proprio quella dell'adeguamento - attraverso il confronto inter partes - circa il risultato conseguito con il software e la realtà economica rappresentata dal contribuente.

Si osserva, in definitiva, che anche nell'accertamento sintetico (come nello studio di settore), il risultato del dato standard di origine deve necessariamente essere plasmato nel corso del contraddittorio con il soggetto, pena l'illegittimità dell'accertamento.

A ben vedere, con la pregressa corrente interpretativa, veniva confermato il principio stabilito dalla Suprema Corte SS. UU. [nn. 26635 - 266636 - 26637 - 26638 del dicembre 2009 (5)], ossia che l'accertamento si rafforza (e si legittima) proprio attraverso il contraddittorio instaurato «con il contribuente dal quale possono emergere elementi idonei a commisurare la concreta realtà economica dell'impresa con la presunzione».

In breve, in tutti gli accertamenti standardizzati occorre quindi valutare l'esito del contraddittorio per accertare la «personalizzazione» dei parametri da software alla singola posizione del contribuente, al fine di assicurare una ragionevole concretezza rispetto ai requisiti di gravità, precisione e concordanza propri delle presunzioni semplici.

IL PRECEDENTE GIURISPRUDENZIALE «A FAVORE» DELLA PRESUNZIONE SEMPLICE

In realtà, non è la prima volta che la Corte di Cassazione approdava a tale conclusione «pro contribuente»:

il primo segnale del revirement sull'argomento è da ricercare nell'Ord. n. 21661 del 22 ottobre 2010.

Nel citato provvedimento, la giurisprudenza di legittimità giunse proprio al seguente risultato: anche il redditometro appartiene alla categoria degli accertamenti standardizzati, dunque - per analogia - anche la legittimità del sintetico transita dagli elementi acquisiti in sede di contraddittorio (per suffragare la tesi dell'Agenzia delle entrate) (6).

Con tale pronuncia veniva - in via definitiva - riconosciuta l'esistenza di un'ampia categoria di metodiche standardizzate di accertamento tributario, caratterizzate dalla elaborazione di dati del contribuente sulla base di valori e percentuali medie (7).

Ma vi è di più: nella Sent. n. 13289/2011 si affermava un ulteriore principio, ossia che l'obbligo di esperire il preventivo contraddittorio tra le parti trova applicazione anche per il passato, pertanto non solamente per gli accertamenti afferenti periodi di imposta dal 2009 e successivi.

CONSIDERAZIONI FINALI

A ben vedere, pare lampante la portata «copernicana» di tale linea interpretativa: la nuova previsione di legge circa la coercitività del contraddittorio (preventivo) comporta: - in primo luogo l'obbligo da parte dell'Agenzia delle entrate di chiedere il confronto con il contribuente (e non limitandosi a far compilare i noti questionari); - ed in secondo luogo, impegna il Fisco a svolgere un particolare lavoro, finalizzato ad arricchire (in termini probatori) le motivazioni dell'accertamento.

Di contro, la mancata risposta da parte del contribuente all'invito al contraddittorio costituisce elemento indiziario convergente a supportare il contenuto dell'accertamento, tuttavia rappresenta una scelta strategica del contribuente (8), il quale potrà decidere di offrire (o meno) determinate notizie al Fisco.

In definitiva, il principio del contraddittorio - anche all'interno della normativa italiana, nonché della giurisprudenza - inizia ad interessare gli operatori del settore, come peraltro ha sancito la Corte di Giustizia della UE nella sentenza Sotropè (C - 349/07) e la Corte di Cassazione (n. 14105 dell'11 giugno 2010).

Probabilmente, rappresenta il primo passo (senza dubbio rilevante) verso un nuovo equilibrio tra diritti e doveri distribuiti all'Amministrazione finanziaria e al contribuente, tendente a realizzare una forma dignitosa di Stato di diritto, alla luce peraltro dei principi di buona fede e di collaborazione nella relazione tra le parti: si tratta pertanto non solo di un dovere etico, ma anche (e soprattutto) di un dovere giuridico.

Nonostante le considerazioni svolte nei capoversi precedenti - a fronte della nuova pronuncia in tema di redditometro - la Corte di Cassazione ha deciso di optare a favore di una drastica «inversione di marcia» in relazione alla metodologia da applicare all'accertamento sintetico, sovraccaricando (senza una ragionevole motivazione giuridica) la posizione processuale del contribuente.

In altre parole «grava» sul ricorrente, il quale intenda contestare l'applicazione di tali coefficienti presuntivi di reddito - all'interno dei propri atti difensivi - «l'onere di dimostrare in concreto che il proprio reddito effettivo è diverso ed inferiore a quello scaturente dalle presunzioni adottate dall'Ufficio».

NOTE --------------------------------------------------------------------------------

(1) C. Cass. n. 13289/2011 del 17 giugno 2011.

(2) Sulla natura dei requisiti delle presunzioni semplici (precisione, concordanza e gravità), taluni autorevoli studiosi hanno valutato come «obsoleti» tali elementi: è condivisibile ritenere che «si è in presenza di presunzioni semplici quando vi sono un insieme di elementi presuntivi - ma anche, eccezionalmente, uno soltanto - che portano a un elevato grado di probabilità del fatto (o effetto) presunto» («Per le presunzioni fiscali vocabolario da aggiornare» di Dario Deotto, in Il Sole 24 Ore, 11 febbraio 2011).

(3) «Guida all'Accertamento delle imposte» (a cura di Bruno Frizzera), Gruppo 24 Ore, 2010 (Proprio l'intervenuta obbligatorietà del contraddittorio «preventivo», preme osservare che si inserisce positivamente nella esplicita formalizzazione della legge n. 212/2000 - Statuto del Contribuente -, in tema di collaborazione tra Fisco e contribuente (art. 10).

(4) «Redditometro, vince il confronto» di Dario Deotto, in Il Sole 24 Ore, 19 giugno 2011.

(5) Il contraddittorio preventivo dovrebbe essere la regola nel procedimento dei tributi, così come di può evincere indirettamente dalle citate pronunce della Corte di Cassazione.

(6) Su tale orientamento si è conformata anche una pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Sondrio, n. 24/2/11 del 25 marzo 2011. In tale sentenza si afferma che l'applicazione acritica e tabellare dei parametri redditometrici, qualora non supportata da ulteriori elementi in relazione alla fattispecie, non rende autosufficiente l'accertamento sintetico.

(7) «Garanzie e doveri del nuovo redditometro» di Alberto Marcheselli (Professore associato di diritto tributario presso la Facoltà di Giurisprudenza di Torino), in Corriere Tributario, n. 45/2010. (8) Cass. SS.UU., n. 26637 del 2009. (D.P.R. n. 600/1973 art. 38) (C. Cass., Sent. n. 13289 del 17 giugno 2011) (C. Cass., Sent. n. 27545/2011)

di Federico Marrucci

domenica 5 febbraio 2012

FABBRICATI RURALI: DOMANDE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA RURALITÀ DA PRESENTARE ENTRO IL 31 MARZO 2012

L'Agenzia del territorio, con proprio comunicato dell'11 gennaio 2012, ha precisato che, in attesa dell'emanazione del decreto ministeriale attuativo delle disposizioni di cui all'art. 13, comma 14-bis, del D.L. n. 201/2011 - decreto che dovrà definire le modalità per l'inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito di ruralità - le domande per il riconoscimento del requisito di ruralità (da presentare entro il 31 marzo 2012 secondo quanto previsto dall'art. 29, comma 8, del D.L. n. 216/2011) potranno essere presentate utilizzando i modelli già approvati con D.M. 14 settembre 2011, tenendo presente che le richieste avanzate non producono variazione di categoria negli atti del catasto, per la destinazione abitativa, fermo restando i relativi effetti ai fini del riconoscimento del carattere di ruralità dell'immobile.

STUDI DI SETTORE 2012: DEFINITO IL PROGRAMMA DELLE REVISIONI

Con provvedimento direttoriale del 12 gennaio 2012 l'Agenzia delle entrate ha provveduto ad individuare gli studi di settore ed i relativi codici di attività che saranno sottoposti a revisione e che potranno essere applicabili a decorrere dal periodo d'imposta 2012, a seguito di approvazione con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.

(Agenzia delle entrate - Provv. 12 gennaio 2012)

Agenzia delle Entrate - raddoppio dei termini di accertamento

Con la Circ. n. 1/E del 13 gennaio 2012 l'Agenzia delle entrate torna sulla questione del raddoppio dei termini di accertamento previsto dall'art. 43, terzo comma, del D.P.R. n. 600/1973 e dall'art. 57, terzo comma, del D.P.R. n. 633/1972 in presenza di violazioni che comportano l'obbligo di denuncia penale per i reati di cui al D.Lgs. n. 74/2000; raddoppio che, secondo quanto chiarito dalla Corte Costituzionale nella Sent. n. 247 del 2011, opera automaticamente ed indipendentemente dalla circostanza che l'obbligo di denuncia sia insorto dopo il decorso del termine «breve» o sia stato adempiuto entro lo stesso termine. 

Sulla base di tale interpretazione, la circolare precisa che i controlli possono riguardare anche le posizioni interessate dalle sanatorie IVA di cui agli artt. 7, 8, 9 e 15 della legge n. 289/2002 (dichiarate come noto incompatibili con il diritto comunitario dalla Corte di Giustizia con le Sentt. del 17 luglio 2008 e dell'11 dicembre 2008), fermo restando che la sola adesione alle sanatorie da parte dei contribuenti non può essere trasformata, a distanza di anni, in una sorta di autodenuncia che determina automaticamente la riespansione del potere di accertamento.

(C.M. 13 gennaio 2012, n. 1/E)