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UFFICIO DEL PERSONALE

domenica 11 settembre 2011

TRASMISSIONE TELEMATICA DEI CERTIFICATI DI MALATTIA: L'ACCORDO INTERCONFEDERALE

Come noto, a seguito dell'entrata in vigore della L. 4 novembre 2010, n. 183 (art. 25), è stato uniformato il regime legale del rilascio e della trasmissione dei certificati in caso di assenza per malattia per i dipendenti pubblici e per quelli privati. Dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 18 marzo 2011 della circolare ministeriale congiunta (Ministero del lavoro e della Funzione Pubblica) n. 4/2011, in materia di trasmissione telematica dei certificati di malattia, nonché dei successivi chiarimenti da parte del dipartimento per la digitalizzazione della P.A e l'innovazione tecnologica in ordine alla decorrenza del cd. periodo transitorio di tre mesi, Confindustria ha ritenuto necessario avviare tavolo di confronto afferente le modalità di gestione della suddetta fase transitoria in attesa dell'adeguamento, da parte dei CCNL del settore industriale, alle nuove disposizioni contenute nel cd. Collegato Lavoro.

Tale confronto si è concluso con un Accordo Interconfederale, sottoscritto il 20 luglio u.s., che reca la disciplina «intertemporale» degli aspetti contrattuali dell'invio telematico dei certificati di malattia.

I contenuti dell'Intesa sono così sintetizzabili: 1) restano pienamente efficaci i CCNL attualmente vigenti relativamente alle norme che disciplinano il trattamento economico e normativo in caso di malattia del lavoratore; 2) in via transitoria e cioè fino a quando i CCNL non provvederanno ad armonizzare le nuove modalità di invio della certificazione di malattia, come invece recentemente avvenuto nel CCNL del terziario, il lavoratore sarà obbligato a comunicare il numero di protocollo identificativo del certificato medico alla propria impresa datrice di lavoro - entro gli stessi termini previsti dai vigenti CCNL per l'invio cartaceo del certificato medesimo - «con modalità coerenti con le innovazioni tecnologiche che caratterizzano la riforma dell'invio telematico delle certificazioni mediche (come, a mero titolo esemplificativo, e-mail o SMS)»; 3) in attesa della citata armonizzazione dei vari CCNL, altre modalità attuative di invio del numero identificativo potranno essere definite con accordo aziendale.

Alcune brevissime riflessioni merita il punto 2. sopra indicato. In questa fattispecie, va sottolineato che le OO.SS. si sono opposte alla originaria richiesta formulata da Confindustria, consistente nel rendere obbligatorio l'invio del numero di protocollo identificativo del certificato per posta raccomandata a prescindere dalla facoltà dell'impresa di richiederlo e, per lo più, secondo le modalità tradizionali (con raccomandata A.R.). Un siffatto obbligo, ad avviso dei Sindacati Confederali, avrebbe contraddetto espressamente le «modalità coerenti con le innovazioni tecnologiche».

L'Accordo Interconfederale prevede, comunque, che «in ogni caso di mancata trasmissione telematica del certificato di malattia per qualsiasi motivo ...» il lavoratore - previo avviso al datore - potrà adempiere agli obblighi contrattuali di certificazione dell'assenza inviando, nei tempi e con le modalità previsti dal contratto collettivo che disciplina il suo rapporto di lavoro, il certificato di malattia che il medico è tenuto a rilasciare in forma cartacea ai sensi della richiamata circolare ministeriale.

Ricordiamo in ultimo che il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro del settore terziario ha disciplinato nel frattempo la materia nei seguenti termini.

In relazione alla giustificazione delle assenze in caso di malattia, e fermo restando l'obbligo di dare immediata notizia dell'assenza al datore di lavoro, la comunicazione si realizza anche mediante la comunicazione scritta a mezzo fax, mail certificata o raccomandata, del numero di protocollo identificativo del certificato medico inviato per via telematica dal medico INPS.

(L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 25)
(Accordo Interconfederale 20 luglio 2011)

ANTIRICICLAGGIO

Attraverso la modifica dell'art. 49 del D.Lgs. n. 231/2007 è stata ridotta da 5.000 a 2.500 euro la soglia massima per l'utilizzo del contante e dei titoli al portatore. Entro il prossimo 30 settembre i libretti di deposito bancari o postali al portatore con saldo pari o superiore a 2.500 euro dovranno essere estinti, ovvero il loro saldo deve essere ridotto entro tale importo.

(D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 2, comma 4)

TASSAZIONE DELLE RENDITE FINANZIARIE

Viene prevista, a decorrere dal 1° gennaio 2012, una revisione del sistema impositivo dei redditi di natura finanziaria al fine di unificare le attuali aliquote del 12,50% e del 27%, previste sui redditi di capitale e sui redditi diversi, ad un livello intermedio fissato al 20%. Restano esclusi dall'ambito di applicazione della riforma, tra gli altri, i titoli di Stato ed equiparati, i titoli emessi da altri Stati (inclusi nella lista di cui all'art. 168-bis del D.P.R. n. 917 del 1986), i titoli di risparmio per l'economia meridionale, le forme di previdenza complementare. La nuova aliquota del 20% si applica:

- agli interessi, ai premi e ad ogni altro provento di cui all'art. 44 del T.U.I.R., divenuti esigibili e ai redditi diversi realizzati a decorrere dal 1° gennaio 2012;

- ai dividendi e proventi ad essi assimilati percepiti dal 1° gennaio 2012.

Per quanto concerne le obbligazioni e i titoli similari di cui all'art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 239/1996, l'aliquota del 20% si applica agli interessi, ai premi e ad ogni altro provento di cui all'art. 44 del decreto del T.U.I.R. maturati a partire dal 1° gennaio 2012.

In tema di capital gains, i commi da 28 a 34 dell'art. 2 recano disposizioni in materia di minusvalenze e plusvalenze di cui all'art. 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quinquies), del T.U.I.R. In particolare il comma 28 stabilisce che le minusvalenze, perdite e differenziali negativi di cui all'art. 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quater), del T.U.I.R., realizzate fino alla data del 31 dicembre 2011, possono essere portate in deduzione dalle future plusvalenze e dagli altri redditi diversi di cui all'art. 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quinquies), del T.U.I.R. - sempre nel limite temporale del quarto periodo d'imposta successivo a quello di realizzo - per una quota pari al 62,5% del loro ammontare (tale quota di deducibilità del 62,5% è ottenuta dal rapporto tra le aliquote del 12,50% e 20%).

Il contribuente ha comunque la possibilità di affrancare le plusvalenze e le minusvalenze latenti al 31 dicembre 2011 versando l'imposta sostitutiva del 12,50% sui redditi diversi maturati fino alla stessa data. Con apposito decreto ministeriale dovrà essere disciplinata l'attuazione di detto regime transitorio.

TRATTAMENTO FISCALE DELL'ASSEGNO DI MANTENIMENTO AL CONIUGE DIVORZIATO

Il divorzio è l'istituto giuridico che permette lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Analizziamo gli aspetti fiscali più interessanti anche alla luce di due recenti interventi della Corte di Cassazione.


LE REGOLE FISCALI
GLI INTERVENTI DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Attraverso l'istituto del divorzio si scioglie il matrimonio e vengono meno gli effetti civili.

Il matrimonio è sciolto quando questo sia stato contratto con rito civile; cessano gli effetti civili, invece, qualora sia stato celebrato matrimonio concordatario.

Il divorzio può essere congiunto, cd. consensuale, quando è stato raggiunto l'accordo sulle condizioni, mentre è giudiziale, quando non c'è accordo sulle condizioni.

Ovviamente, il divorzio si differenzia dalla separazione legale, in quanto attraverso quest'ultima i coniugi sospendono gli effetti del rapporto matrimoniale, e la separazione può sfociare in una riconciliazione ovvero in un provvedimento di divorzio.

Si ricorda che il divorzio, introdotto in Italia dalla legge n. 898/1970, è disciplinato dall'art. 149 c.c. Successivamente la legge n. 74/1987 ha apportato rilevanti modifiche a tale istituto.

Dal punto di vista fiscale, l'assegno di divorzio trova fondamento nello scioglimento del vincolo matrimoniale ed ha, quindi, natura diversa dall'assegno di mantenimento e da quello alimentare, eventualmente concessi in sede di separazione, che presuppongono invece l'esistenza e la persistenza del rapporto coniugale.

L'assegno divorzile va concesso - per mantenere lo stesso tenore di vita avuto in costanza di matrimonio - e va versato dal momento del passaggio in giudicato della sentenza, ma può essere richiesto pure successivamente, se le condizioni di vita di uno dei divorziati lo richiedano.

L'assegno può essere oggetto di rinuncia, ma se sopraggiunge uno stato di bisogno, il Tribunale potrà rivedere le decisioni assunte precedentemente.

L'assegno divorzile può essere versato mensilmente, oppure liquidato in una sola soluzione, previa verifica della congruità della somma offerta da parte del Tribunale. In quest'ultimo caso - unica soluzione - viene meno qualunque diritto del coniuge che lo ha ricevuto di proporre ulteriori richieste di natura economica.

L'assegno viene meno nel momento in cui colui che lo percepisce si risposa.

Nel caso di mancato pagamento dell'assegno, il coniuge che ne ha diritto può procedere anche al pignoramento dello stipendio o della pensione.

LE REGOLE FISCALI

Assegni periodici

L'art. 10, comma 1, lett. c), del T.U.I.R. prevede la deducibilità dal reddito complessivo, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, degli «assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria».

I contribuenti, quindi, possono dedurre dal reddito gli assegni periodici corrisposti al coniuge, anche se residente all'estero, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento di matrimonio, e di divorzio, con esclusione della quota destinata al mantenimento dei figli, ex art. 10, comma 1, lett. c), del T.U.I.R.

Di converso, detti assegni periodici costituiscono per il coniuge che ne beneficia redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e «si presumono percepiti, salvo propria contraria, nella misura e alle scadenze risultanti dai relativi titoli» [artt. 50, comma 1, lett. i) e 52, comma 1, lett. c), del T.U.I.R.].

Gli assegni periodici sono deducibili nella misura in cui risultano dal provvedimento dell'autorità giudiziaria.

Requisiti necessari sono la separazione legale ed effettiva, ovvero lo scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.

La separazione di fatto non fa sorgere alcun diritto alla deduzione di eventuali assegni corrisposti volontariamente.

La somma corrisposta deve essere pari a quella determinata dal giudice. Deve trattarsi di somme corrisposte periodicamente.

Assegni una tantum

Come abbiamo visto, con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.

Su accordo delle parti la corresponsione dell'assegno può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico.

Dal punto di vista fiscale, l'art. 10, comma 1, lett. c), del T.U.I.R. disciplina solo gli assegni corrisposti al coniuge con carattere periodico, restando fermo che ai fini della deducibilità e della imponibilità delle somme in questione è richiesto che la misura e la periodicità di corresponsione delle stesse risultino dal provvedimento dell'autorità giudiziaria.

Diversamente, è principio ormai acquisito l'indeducibilità degli assegni una tantum. Sul punto l'Agenzia delle entrate si è espressa in più occasioni (vedi a pagina seguente).

GLI INTERVENTI DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Sent. n. 2236 del 31 gennaio 2011

Con la Sent. n. 2236 del 31 gennaio 2011 (ud. del 1° dicembre 2010) la Corte di Cassazione, nel confermare che la deducibilità è limitata agli oneri costituiti dall'assegno di mantenimento del coniuge divorziato, ha affermato che «il beneficio non si estende ai premi pagati per l'assicurazione sulla vita a favore della moglie, ancorché ciò fosse stato stabilito con la sentenza del tribunale. Invero tali statuizioni attengono al diverso settore civilistico dei rapporti tra coniugi, e non possono rilevare ai fini fiscali, non essendo consentita un'interpretazione analogica della disciplina di favore in siffatta materia. Infatti essa non può applicarsi nemmeno laddove si tratti di corresponsione di tale assegno in unica soluzione, e quindi a maggior ragione nella fattispecie in esame, in cui il premio non viene corrisposto al coniuge, ma ad un terzo (la compagnia o istituto d'assicurazione), ed inoltre il relativo capitale sarà versato (presumibilmente) in unica soluzione alle scadenze pattuite. Questa Corte al riguardo ha statuito che in tema di oneri deducibili dal reddito delle persone fisiche, il D.P.R. n. 597 del 1973, art. 10, comma 1, lett. g), (al pari del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10, comma 1, lett. c) limita la deducibilità, ai fini dell'applicazione dell'IRPEF, solo all'assegno periodico - e non anche a quello corrisposto in unica soluzione - al coniuge, in conseguenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella misura in cui risulta da provvedimento dell'autorità giudiziaria. Tale differente trattamento - come affermato dalla Corte costituzionale nella Ord. n. 383 del 2001 - è riconducibile alla discrezionalità legislativa la quale, riguardando due forme di adempimento tra loro diverse, una soggetta alle variazioni temporali e alla successione delle leggi, l'altra capace di definire ogni rapporto senza ulteriori vincoli per il debitore, non risulta né irragionevole né in contrasto con il principio di capacità contributiva (Cfr. anche Cass. Sentt. n. 16462/2002,n. 795/2000)».

Ord. n. 10323 del 10 maggio 2011 (ud. del 6 aprile 2011)

La deduzione di somme corrisposte a titolo di assegni per gli obblighi di assistenza in conseguenza di separazione personale dei coniugi, scioglimento del matrimonio o di natura alimentare è circoscritta alla misura determinata da provvedimento giurisdizionale ai fini di certezza dell'ammontare della base imponibile, la quale non può essere liberamente rimessa alla volontà del contribuente in virtù di un proprio autonomo spontaneo adempimento a diversi accordi raggiunti inter partes. È questa la massima dell'Ord. n. 10323/2011.

La Corte rileva che «i giudici d'appello si sono ingiustificatamente discostati dal principio di diritto secondo cui, in tema di oneri deducibili dal reddito delle persone fisiche, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10, comma 1, lett. c), limita la deducibilità, ai fini dell'applicazione dell'IRPEF, solo agli assegni periodici corrisposi al coniuge (ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli), in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria».

Inoltre, il riferimento alla «misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria» costituisce insuperabile dato testuale, ripreso dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, Sentt., Cass. nn. 23659/2006, 16462/2002) e costituzionale (C.C. 14 novembre 2008, n. 373 e 29 marzo 2007, n. 113).

Ancora viene ricordato che « C. Cost. 28 luglio 1999 n. 370 (in Giur. cost., 1999, 2831), ha ritenuto manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., la questione di legittimità del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 10, lett. h), (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone fisiche), nella parte in cui consente la deduzione dal reddito imponibile degli importi per assegni alimentari corrisposti alle persone indicate nell'art. 433 c.c., solo se essi risultino da provvedimenti dell'autorità giudiziaria, con esclusione di quelli prestati spontaneamente dal soggetto obbligato».

Nell'occasione la Corte ha ribadito che «la detraibilità non è secondo Costituzione necessariamente generale ed illimitata, ma va concretata e commisurata dal legislatore ordinario secondo un criterio che concili le esigenze finanziarie dello Stato con quelle del cittadino» (Sent. n. 134 del 1982) e che «spetta al legislatore, secondo le sue valutazioni discrezionali, di individuare gli oneri deducibili considerando il necessario collegamento con la produzione del reddito, il nesso di proporzionalità con il gettito generale dei tributi, nonché l'esigenza fondamentale di adottare le opportune cautele contro le evasioni di imposta» (Sent. n. 143 del 1982; v. anche le Sentt. nn. 108 del 1983 e 239 del 1993 e le Ordd. nn. 948 del 1988 e 556 del 1987). Ha, inoltre, precisato «che la deduzione dal reddito imponibile degli assegni alimentari, limitata alla misura risultante da provvedimento dell'autorità giudiziaria, corrisponde ad una scelta del legislatore ispirata ad esigenze di certezza nella individuazione degli oneri detraibili, altrimenti lasciata alla volontà del contribuente o alla discrezionalità dell'Amministrazione finanziaria».

Gli estensori della sentenza affermano, altresì, che «si tratta di considerazioni estensibili integralmente agli assegni periodici corrisposti per il mantenimento del coniuge, in conseguenza di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio, anch'essi deducibili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria, misura nella specie ferma alla lontana sentenza del tribunale di Venezia n. 288 del 1978 senza che abbiano fiscalmente rilievo le maggiorazioni intervenute per eventuali patti privati successivi o accordati spontaneamente dal coniuge obbligato».